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domenica 22 settembre 2013

UNA BELLA INCOMPIUTA

Immagine tratta da olimpiazzurra.com
Se si dovesse scegliere un titolo appropriato per definire l'avventura azzurra agli Europei di basket, che stasera si concluderanno con l'assegnazione delle medaglie, forse quello di "bella incompiuta" risulta decisamente il migliore. "Bella" perché erano anni che non si seguiva e non si applaudiva la Nazionale Italiana di pallacanestro con tanta passione e orgoglio, frutto del lavoro e dell'impegno straordinario dimostrato in ogni partita dai nostri atleti e dal loro allenatore. "Incompiuta" perché, si sa, l'appetito vien mangiando e una volta che vedi un grande obiettivo a portata di mano dispiace vedertelo sfuggire per così poco. 
E dire che, a inizio manifestazione, c'erano solo le premesse per un disastro: infortuni che mettono fuori combattimento in ordine Gallinari, Hackett, Bargnani, Mancinelli e Gigli, amichevoli una più brutta dell'altra, con sconfitte in serie e morale sotto i tacchi, un girone sulla carta terribile con Russia, Grecia e Turchia ad ostacolare la nostra strada per la seconda fase. Invece, come spesso ci accade, nelle difficoltà e nei momenti importanti spesso riusciamo a trovare in noi risorse nuove, ci carichiamo e riusciamo a dare il 200% di noi. Cinque vittorie consecutive nella prima fase, unica nazionale in grado di riuscirci tra le 24 partecipanti, una crescita costante nella convinzione e nella qualità del gioco, partite ben giocate e gestite con una lucidità a volte sorprendenti. Nella seconda fase, purtroppo, i limiti che avevamo in qualche modo nascosto sono tornati ad emergere, complice un calo della condizione fisica: rotazioni corte, errori di gestione nei momenti caldi dei match, inferiorità fisica sotto canestro rispetto ai nostri avversari. Una sola vittoria, seppur prestigiosa, contro la Spagna campione uscente dopo una grande rimonta e un faticoso supplementare, prima e dopo le sconfitte con Slovenia e Croazia nel girone e quelle con la Lituania nei quarti di finale e con Ucraina e Serbia nella corsa agli ultimi tre posti per il Mondiale 2014. Chiudiamo con un ottavo posto che è comunque il nostro miglior risultato dal 2003 ad oggi, ci riempie di orgoglio per quanto fatto vedere sul campo, ci lascia purtroppo fuori dal Mondiale del prossimo anno (salvo un'eventuale wild card) e ci spinge a tirare le somme su ciò che ha funzionato e ciò che invece bisognerà migliorare ancora nei prossimi anni.
Le notizie positive sono sicuramente tante, in primis la crescita e la leadership del nostro nuovo capitano Gigi Datome, che a breve vedremo in Nba con la maglia dei Detroit Pistons, quarto azzurro a giocare oltre oceano con Bargnani, Belinelli e Gallinari. Pur frenato da problemi fisici che si trascinava dal campionato e hanno minato la sua preparazione, l'ala sarda ha dimostrato una maturità notevole, risultando spesso il migliore in campo tra i nostri e quello che più di tutti si prendeva le responsabilità nei momenti decisivi, come contro la Spagna nella seconda fase. Ottime risposte anche dai giovani Gentile e Melli, il primo rivelatosi una vera arma in più quando entrava in campo, il secondo più che positivo nel ruolo di centro di riserva nonostante la stazza inferiore a quella di molti avversari. Nota positiva anche la crescita di Cinciarini, maturato molto rispetto a due anni fa e rivelatosi un buon play in chiave futura, e di Cusin, che come centro non ha sfigurato, anche se può ancora migliorare in alcuni fondamentali. Buone ma in calo le prestazioni di Aradori, che dopo un buon inizio è diventato meno incisivo nella fase finale del torneo. Tra le note negative, ahinoi!, la netta involuzione subita da Marco Belinelli, forse condizionato dalla stanchezza e da un leggero infortunio, ma comunque lontano da quel ruolo di leader che molti si aspettano da lui. Il neo atleta dei San Antonio Spurs continua ad essere troppo alterno, con grandi gare seguite da prestazioni mediocri; ha evidenti limiti in fase difensiva e spesso porta troppo e male la palla, sbagliando le scelte nei momenti chiave e rivelandosi più una croce che è una delizia in questi momenti di scarsa lucidità. Va gestito meglio, magari la presenza di qualcuno tra i grandi assenti come Gallinari potrebbe aiutarlo ad avere meno minuti ma una maggiore qualità. Poco positiva anche la presenza di Travis Diener, anche se le condizioni fisiche sono una valida scusa per il play americano naturalizzato, che a Sassari da anni fa meraviglie ma in questo Europeo si è visto davvero poco. Da rivedere al 100% della forma.
Chiudiamo con un elogio per il tecnico, Simone Pianigiani, che in due anni è riuscito a ridare grinta e spirito di gruppo ad una Nazionale che era apparsa svuotata, senz'anima, incapace di reagire alle difficoltà e poco incline alla lotta rispetto alle altre squadre. Nelle tante difficoltà seguite agli infortuni e alle prove poco convincenti prima dell'Europeo, l'allenatore toscano ha comunque trasmesso una mentalità combattiva e indomita ai suoi, che hanno sempre lottato senza mai arrendersi e hanno dato più di quanto potevano, meritando per questo applausi e apprezzamenti da tutti. La gestione dei minuti è stata un po' criticata, ma con una panchina scarsamente competitiva quella di Pianigiani è stata una scelta quasi imposta. Con lui, comunque, la crescita di carattere c'è stata rispetto agli anni passati, e con il gruppo al completo non si può che puntare ad un ulteriore miglioramento nella prossima rassegna in cui la Nazionale sarà impegnata. Si tratti dell'Europeo 2015 o del Mondiale 2014, sarà il futuro a dircelo. Per adesso, grazie comunque di tutto ragazzi!


mercoledì 11 luglio 2012

TRENT'ANNI DOPO: 11 LUGLIO 1982

Video tratto da youtube.com

Ci sono immagini, frasi, giorni che rimangono per sempre nella memoria dei tifosi, scolpiti in maniera indelebile, come se il tempo non passasse mai e quello che si è vissuto tornasse ciclicamente a ripetersi. L'urlo di Marco Tardelli, autore del gol che da sempre più all'Italia la certezza della vittoria, la faccia soddisfatta del presidente Sandro Pertini, che si rivolge a chissà chi agitando l'indice e dicendo: "Non ci prendono più!", la voce entusiasta di Nando Martellini che al fischio finale grida: "Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!", la storica fotografia dello scopone a 4 disputato il giorno dopo la partita sull'aereo del ritorno. Testimonianze, frammenti di memoria di una serata che il calcio e lo sport italiano non hanno mai dimenticato: esattamente trent'anni fa, l'11 luglio del 1982, la Nazionale azzurra vinceva i Mondiali di Calcio, 44 anni dopo l'ultima volta, e nella splendida cornice di Madrid scriveva una vera e propria pagina di storia.
Una squadra entrata nell'immaginario di tutti, solida e molto unita, magari non spettacolare ma in grado di unire tutta l'Italia, e di emozionare come mai prima di allora. Tante anime, caratteri forti e talenti puri, ognuno con il suo ruolo preciso in campo, tutti decisivi insieme sul campo. Il capitano, Zoff, una sicurezza tra i pali azzurri, primo italiano a superare 100 presenze in Nazionale, vincitore del Mondiale a 40 anni suonati, leader silenzioso e carismatico del gruppo. Il mastino Gentile, implacabile marcatore dei numeri 10 più forti del torneo, Maradona e Zico, annullati dalla sua grinta e dal suo gioco asfissiante, ruvido, sempre al limite e forse oltre. Il bel Cabrini, terzino con il fiuto del gol, che sbaglia un rigore in finale ma non cancella per questo una serie di grandi prestazioni. Gli altri difensori, Collovati e Bergomi, l'esperto e il ragazzino, insuperabili per i centravanti avversari. Il libero Scirea, esempio di classe e correttezza, che sarebbe entrato nella leggenda pochi anni dopo con la sua tragica scomparsa. I polmoni del gruppo, Marini e Oriali, che corrono per tutti, poco appariscenti ma fondamentali per il centrocampo. Tardelli, l'uomo della finale, un lottatore abile negli inserimenti che ama segnare gol pesanti. Antognoni, la luce azzurra in mezzo al campo con la sua fantasia, sfortunato in semifinale ma importantissimo fino ad allora. Conti, l'imprendibile ala azzurra, tanta classe e un dribbling fantastico che manda in crisi ogni avversario, un talento pari a quello dei fuoriclasse brasiliani. Causio, un fedelissimo del tecnico, che aggiunge esperienza al gruppo nonostante sia in calo rispetto al passato. Graziani, l'uomo di peso dell'attacco azzurro, in campo solo per 7 minuti nella finale, ma sempre prezioso. Altobelli, la punta di riserva, bravo a farsi trovare pronto quando serve e a chiudere definitivamente il discorso nella finale. E poi lui, Paolo Rossi, il Pablito nazionale, discusso e criticato all'inizio, decisivo nel castigare Brasile e Polonia, che rompe l'incantesimo anche in finale e diventa capocannoniere ed eroe. Senza dimenticare ovviamente gli altri azzurri, che pur non mettendo mai piede in campo hanno contribuito in maniera decisiva a creare l'armonia e la collaborazione nello spogliatoio italiano, e possono fregiarsi a buon diritto del titolo di Campioni del Mondo.
Ma più di tutti loro, più di ogni singolo, come detto, vale il gruppo, e vale soprattutto chi è stato il condottiero e il creatore di questa squadra: Enzo Bearzot. Friulano come Zoff, anche lui poco avvezzo alle chiacchiere e molto concentrato sui fatti, un leader all'interno dello spogliatoio ma anche una guida lucida e in grado di capire l'evoluzione del gioco. Al timone della Nazionale da molti anni, dopo il Mondiale bello e sfortunato del 1978 e il deludente Europeo del 1980, fa storcere il naso a molti critici con le sue scelte: richiama in squadra Rossi, reduce dalla squalifica per il calcio-scommesse, scommette su alcuni giovani come Bergomi, appena diciottenne, e preferisce il mite Selvaggi al bomber Pruzzo e all'estroso Beccalossi, che mal si adattano al suo gruppo. Il torneo inizia male, la squadra stenta e sfiora l'eliminazione nel girone, le critiche piovono sulla sua testa e lui impone il silenzio stampa. Quella chiusura sarà decisiva, rafforzerà ancora di più l'unione dei giocatori, darà a tutti la necessaria forza per diventare anche vincenti e completare quel percorso di crescita che molti di loro avevano iniziato in Argentina quattro anni prima, sempre sotto la sua guida. Battendo in successione Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest, la sua Italia tornerà con merito sul tetto del Mondo, e il "Vecio" sarà portato in trionfo da tutti i suoi ragazzi, grati per ciò che ha loro insegnato. Fallirà in seguito, negli Europei del 1984 e soprattutto nei Mondiali 1986, ma niente potrà mai intaccare il ricordo e il merito per la storica impresa compiuta in Spagna, contro tutto e tutti.
Anche oggi, a trent'anni di distanza, tutto il Paese celebra con gioia quel momento di festa, i più anziani ricordano con nostalgia quel giorno, i giovani guardano con occhi estasiati le immagini di quella vittoria. Il ricordo è sempre più vivo e fresco, anche dopo il successo del 2006, che ha scritto un'altra pagina importante nella storia del calcio e dello sport italiano. Anche i ragazzi di Lippi sono entrati nel cuore dei milioni di tifosi azzurri, e proprio due giorni fa si è celebrato il sesto anniversario del loro trionfo a Parigi. Ma, nonostante questa vittoria recente, il ricordo del successo del 1982 è ancora vivo nel cuore di tutti, limpido e nitido dopo tanti anni. Perché quella vittoria rappresentò una rivincita per tutti, il ritorno alla vittoria per un Paese intero, dopo tanti anni di sconfitte non solo sportive. Un segnale di ripresa e di rinascita per tutta la Nazione, unica come mai prima di allora in quella magica notte di luglio, quando l'Italia intera unì la sua voce a quella del grande cronista Nando Martellini in quel grido storico e liberatorio:"Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!"