sabato 31 agosto 2013

MILAN REVOLUTION

Immagine tratta da corrieredellasera.it
Solo tre giorni fa tutta San Siro esultava per i suoi due gol che hanno dato un enorme contributo alla conquista dei gironi di Champions League 2013-14 per il Milan. Ieri invece lo abbiamo ritrovato a Gelsenkirchen, intento a presentarsi ai suoi nuovi tifosi con la maglia dello Schalke 04, che lo ha appena prelevato dall'Italia per 10 milioni di euro. Kevin-Prince Boateng saluta, un po' a sorpresa, la serie A per approdare nella Bundesliga tedesca, e vivacizza così il mercato del Milan, che fino ad ora non aveva brillato sul fronte degli acquisti, ma non aveva neanche ripetuto le cessioni eclatanti della scorsa estate. Una mossa, come detto, che spiazza tutti i tifosi rossoneri e tanti appassionati di calcio, perché apre nuovi scenari per questi ultimissimi giorni di trattative, ma soprattutto perché a salutare la compagnia è proprio uno dei simboli del Milan che Allegri aveva ricostruito solo tre anni fa.
Se oggi Boateng è diventato un giocatore tanto richiesto e appetibile a livello mondiale, il merito va sicuramente al tecnico toscano, che è riuscito a trasformarlo in poco tempo in un'arma tattica fondamentale, e ad esaltare tutte le sue doti. Arrivato quasi per caso a Milano, grazie alla collaborazione con il Genoa di Preziosi, Prince in poco tempo è diventato una pedina sempre più importante nello scacchiere rossonero, con Allegri bravissimo a valorizzarlo nel ruolo di trequartista dietro le due punte. La sua esplosione ha consentito al Milan di rinunciare a un giocatore ritenuto fino ad allora incedibile come Ronaldinho, ed è stata la base per la vittoria del Campionato 2011 e per i nuovi sogni di gloria europea della compagine italiana. E' vero che negli ultimi tempi l'apporto di Boateng alla causa rossonera era un po' diminuito, anche a causa dei molti infortuni e del cambio di modulo che lo ha costretto di volta in volta ad arretrare fra i tre di centrocampo o ad allargarsi come esterno d'attacco. L'inizio di questa stagione però era stato più che promettente, con i due gol nella sfida decisiva al PSV che sono valsi la Champions (e relativo introito economico) al Milan, e soprattutto nel suo nuovo ruolo di esterno sembrava molto ben integrato con Balotelli ed El Shaarawy, quindi nulla faceva pensare ad una sua partenza. Soprattutto, non convince il modo in cui la dirigenza rossonera si sta muovendo sul mercato per rimpiazzare il prima possibile il vuoto lasciato dal ghanese di origine tedesca.
La prima mossa è stata l'acquisto di Alessandro Matri, un vecchio pallino del mister Allegri, ma il suo arrivo ha lasciato piuttosto perplessi, perché ricopre un ruolo completamente diverso da quello di Boateng. E' una prima punta di peso, e nel suo ruolo si troverà davanti la concorrenza spietata di Balotelli e Pazzini, che nella scorsa stagione hanno fatto più che bene quando chiamati in causa. Avere tre attaccanti fisici e da area di rigore in una squadra che si è abituata a giocare con un solo vero centravanti sembra poco logico, a meno che non si intenda cambiare nuovamente modulo e tornare al vecchio 4-3-1-2, marchio di fabbrica del tecnico toscano. In quel caso, però, anche adattando Balotelli a fare la seconda punta, la scelta ricadrebbe su uno tra El Shaarawy, Pazzini, Matri, Robinho e Niang. Sei giocatori diversi, anche per ricoprire tre ruoli in attacco, più che un vantaggio sembrano uno spreco. Poco convincente è anche la seconda mossa di Galliani, che sembra stia forzando la mano per arrivare subito al giapponese Honda, desiderio di questo mercato del Milan, ma contemporaneamente si è mosso con decisione per un clamoroso ritorno, quello di Kakà. Si è parlato di una soluzione temporanea: visto che il CSKA, squadra in cui gioca Honda, non vuole liberarlo prima di gennaio, il brasiliano sarebbe una sorta di rimpiazzo per questa prima parte di stagione, per poi lasciare nuovamente Milano, destinazione Stati Uniti, a inizio anno nuovo. Anche in questo caso, i dubbi sono prima di tutto di natura tattica, perché il livello tecnico di Kakà, o almeno del Kakà ammirato per molti anni a San Siro, è fuori discussione. Bisogna sempre ricordare, però, che il brasiliano viene da quattro anni complicati a Madrid, con gli infortuni a frenarlo all'inizio, e l'ostilità di Mourinho a relegarlo spesso in panchina in seguito. Ha 31 anni, cinque in più di Boateng, e soprattutto è meno duttile come ruoli, adattandosi a fatica a fare l'esterno d'attacco. Un suo arrivo lo costringerebbe a giocare in una posizione non sua, oppure obbligherebbe Allegri a cambiare nuovamente modulo, con tutte le difficoltà già citate prima. C'è anche il precedente poco fortunato del cavallo di ritorno Shevchenko, riapparso a Milano nel 2008-09 come l'ombra del campione ammirato in precedenza. Le premesse insomma non sono delle migliori. Anche Honda lascia molti dubbi, visto che il campionato russo è sicuramente inferiore come livello alla nostra Serie A, nonostante i milioni investiti di recente dai magnati sovietici. Inoltre, se il giapponese parteciperà alla fase a gironi di Champions con il CSKA diventerà inutilizzabile a torneo in corso in caso di passaggio al Milan, e questo toglierebbe un giocatore per le sfide decisive da febbraio in poi.
I dubbi sono tanti, e a meno che non ci sia dietro qualche piano segreto del mago del mercato Galliani si fa fatica davvero a star dietro ai ragionamenti del Milan. Verrebbe quasi da pensare che, anche alla luce dello sfogo di Allegri subito dopo il preliminare, qualcosa possa essersi incrinato tra il tecnico toscano e la dirigenza, e che le due parti non remino nella stessa direzione. Boateng, come detto, era uno dei punti di forza del primo Milan allegriano, una delle sue scommesse più azzeccate e vincenti. Cedere lui significa mandare via uno dei fedelissimi del mister, e smontare in maniera praticamente definitiva la squadra che solo due anni fa vinceva il suo diciottesimo titolo. Dei titolari di quel gruppo sono rimasti il portiere Abbiati, il difensore Abate, che a gennaio sembrava destinato a trasferirsi in Russia, e Robinho, anche lui in partenza da oltre un anno e sempre trattenuto, oltre alle riserve Bonera, Antonini, Amelia ed Emanuelson. L'ossatura portante di quella squadra, tra cessioni per questioni di budget e addii a tanti alfieri di lungo corso, anche il modulo è stato cambiato per fronteggiare le necessità tecniche della nuova rosa messa in mano ad Allegri. Il Milan appare in continua evoluzione, e nonostante tutti gli sforzi è molto lontano dalla squadra forte e temibile ammirata appena due anni fa. Difesa e centrocampo sembrano decisamente più deboli, la coppia Zapata-Mexes alterna buone prestazioni a momenti di preoccupante blackout, in mezzo il solo Poli non basta a rinforzare una mediana con tanti giocatori di corsa e poca qualità. Forse è lì squadra che bisognerebbe provvedere sul mercato, anziché pensare al reparto avanzato. Attacco a parte, si ha ancora la sensazione di una squadra incompleta, in cerca di una identità precisa e soggetta a nuove possibili variazioni a stagione in corso. Il primo obiettivo, la qualificazione al girone di Champions, è stato raggiunto, ma in compenso il campionato è partito con il piede sbagliato, e vista la concorrenza ripetere la miracolosa rimonta con terzo posto finale dello scorso anno sarà sempre più difficile senza rinforzi adeguati. A meno che non si decida, come l'anno scorso, di affidarsi temporaneamente all'abilità tattica e alle scelte vincenti di Allegri, almeno fino a gennaio, quando San Adriano (Galliani) potrebbe riuscire a strappare qualche altro giocatore di livello con prezzi più consoni alle casse del Milan attuale.
Per il momento, l'unica cosa certa è che non si potrà più assistere al moonwalk della festa scudetto 2011, al gran gol contro il Barcellona e alla tripletta di Lecce della stagione successiva, alle capriole e all'esultanza rabbiosa che aveva reso Boateng un idolo di San Siro. Allegri e il Milan perdono un altro simbolo e un giocatore dalle indubbie qualità, vedremo se anche questo sacrificio sarà compensato a dovere, dal mercato o dalla tattica.

martedì 27 agosto 2013

-37

Immagine tratta da cagliaricalcio.net e modificata su befunky.com
Dopo la brillante vittoria del Rocco di Trieste che ha dato il via al campionato del Cagliari, si intravedono solo trappole disseminate per la via.
A partire dai complimenti, piovuti a destra e a manca, con i soliti signorotti dei salotti sportivi televisivi, che si lanciano in lodi sperticate, parlando con una certa disinvoltura di "parte sinistra della classifica", di "zona europea", di "rosa di alto livello".
Dobbiamo riconoscere che il Cagliari ha giocato bene per 70'-75', ma anche che poi si è rinchiuso impaurito a difendere il 2-1. E' andata bene, perchè il palo di Livaja sulla fantasiosa uscita a vuoto di Agazzi grida ancora vendetta in casa bergamasca.
I due gol dei rossoblù vengono da due azioni giocate, palla a terra, come non se ne vedevano da tempo. Le gemme dell'assist volante di Sau per l' 1-1 di Nainggolan e il via all'azione con un'apertura sontuosa di esterno di Pinilla per la rete del 2-1 finale di Cabrera, sono giocate tecniche di altissimo livello, incastonate in un'intelaiatura di squadra solida e collaudata.
Certo, tenere in panchina Ibarbo e Astori, valutati 15 e 17 milioni dal sodalizio del presidente Cellino, fa sorgere invidie in più di un allenatore, tipo Allegri, che dalla panchina del Milan nella sconfitta di Verona ha fatto entrare Emanuelson e il Primavera Petagna. La staffetta Sau/ Ibarbo se la possono permettere pochissime squadre nella massima serie.
Il Cagliari sino al 27 Agosto ha trattenuto tutti i big, e ha schierato i 5 milioni richiesti per Agazzi, i 18 per Nainggolan, e fatto accomodare in panchina i suddetti 15 per Ibarbo e 17 di Astori, 55 milioni virtuali solo tra questi quattro, tralasciando le valutazioni sicuramente elevate per Sau e Pinilla. 
Ma il valore di mercato non corrisponde matematicamente al valore sul campo. I troppi elogi potrebbero far "sedere" i rossoblù, e la vittoria con l'Atalanta è comunque da calibrare.
Di fronte si aveva la classica squadra di media classifica, che però aveva cambiato modulo. Con il 4-3-3 del primo tempo, i bergamaschi non l'avevano praticamente mai vista, mentre con il 4-4-2 della ripresa hanno retto meglio il campo e nel finale di gara hanno assediato la porta di Agazzi. 
Se il rocker Cellino non cadrà all'altra trappola di cadere in tentazione e dare all'amico Galliani il nazionale Astori, l'immobilismo sul mercato (esclusa la provvidenziale cessione di Thiago Ribeiro) potrebbe essere la miglior mossa degli ultimi anni. Sperando che la grana stadio si risolva entro poche settimane. 
Intanto è doppio -37. Di giornate mancanti alla fine e di punti mancanti per la quota salvezza. Bene così.

Pagelline: Agazzi 5,5; Dessena 5,5, Rossettini 6, Ariaudo 6,5, Murru 6,5; Nainggolan 7, Conti 7, Ekdal 6 (75'Eriksson 5,5); Cabrera 6,5; Sau 7,5 (71'Ibarbo 6,5), Pinilla 6,5 (88'Nenè sv).
All. Lopez 7.

lunedì 26 agosto 2013

POCHE(R) CHANCES /2

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.com e modificata su befunky.com
A Sebastian Vettel bastano 500 metri per assicurarsi il Gp del Belgio. La tanto temuta pioggia non si fa vedere e il buon tedesco sul Kemmel passa Lewis Hamilton scattato in pole.
Poi è fuga, avversari tenuti a distanza di sicurezza e senza la necessità di spingere più del dovuto per dimostrare la propria forza.
In Belgio Vettel segna la sua 31esima vittoria in carriera (quinto assoluto nella classifica all-time) e dà lo scossone definitivo al Mondiale. I punti di vantaggio sull'immediato inseguitore, Alonso, salgono a 46, quelli su Hamilton a 58 e 63 sono quelli su Raikkonen. Avendo la vettura più forte e regolare del lotto, solo eventi soprannaturali potrebbero sfilargli dal taschino il quarto iride consecutivo.
E ricordiamo che Vettel è un fresco 26enne, e che l'eptacampione Michael Schumacher ha colto il primo iride "solamente" a 25 anni. Il futuro e la storia sono suoi.
Ha una Lattina cucitagli addosso da un genio e da una squadra a lui completamente devota.
Immagine tratta da formula1.com
Anche ieri Webber, che non è propriamente un fermo, apparte le sue leggendarie partenze con riflessi da ottuagenario, si è preso mezzo minuto di distacco e ha finito quinto.
Arrivando sempre a podio, Seb coronerà il poker con due o tre gare d'anticipo.
E la RedBull dopo la pausa invernale diventa sempre un missile. Ogni intervento correttivo sulla vettura va a bersaglio. E' incredibile.
Capitolo altri. Alonso firma la solita domenica da leone, dopo il sabato da censura. Al primo giro è quinto, e arriva 2°, dopo una metà gara fatta di sorpassi in rimonta. L'altra metà della gara è accontentarsi e perdere costantemente da Vettel. Alonso lotta e si sbatte, rischia con il coltello tra i denti, ma perde ancora punti. Per vincere il Mondiale dovrebbe vincere tre o quattro Gp consecutivi, sperando in qualche toppa di Seb. Fantascienza.
Massa partiva al fianco di Alonso e arriva a 37 secondi dal compagno di box in un'anonima settima posizione. Correre contro le Red Bull è durissima, ma correre con un solo pilota di livello sta diventando penalizzante. Il rapporto con Felipe è ai titoli di coda dopo 8 stagioni e 11 vittorie (lontanissime nel tempo).
Hamilton e Raikkonen alzano anche loro bandiera bianca. Lewis perde progressivamente terreno e termina 3° a mezzo minuto. La Mercedes è incostante, missile in qualifica, sempre, e incostante in gara. Kimi invece per metà gara sorpassa e controsorpassa, restando però sempre a centro gruppo e viene messo k.o. da un guasto ai freni. Per una Lotus sempre performante, ma quasi mai vincente, è la mazzata definitiva ai sogni mondiali.
Il Mondiale è finito. 8 gare da qui alla fine e Vettel che ha una mano e mezza sulla coppa del titolo. Quella del poker iridato. Per gli altri poche speranze. Poche chances.

Pagelline: 1°Vettel 10, 2°Alonso 8,5, 3°Hamilton 7, 4°Rosberg 6,5, 5°Webber 6, 6°Button 7,5, 7°Massa 6, 8°Grosjean 6, 9°Sutil 6,5, 10°Ricciardo 7,5, 11°Perez 5,5, 12°Vergne 5,5, 13°Hulkenberg 6, 14°Gutierrez 6, 15°Bottas 5, 16°Van der Garde 7, 17°Maldonado 4,5, 18°Bianchi 5, 19°Chilton 5, RIT.DiResta 5,5, RIT.Raikkonen 5,5, RIT.Pic 6.

197Vettel, 151Alonso, 139Hamilton, 134Raikkonen, 115Webber.
312RedBull, 235Mercedes, 218Ferrari, 187Lotus, 65McLaren.

sabato 24 agosto 2013

NANDO LO SPACCONE

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.com e modificata su befunky.com
Quando a Spa si presenta il classico meteo di Spa, con pioggerelle, acquazzoni, nuvoloni senza gocce, la pole diventa una roulette.
La prende Hamilton, beffando all'ultimo respiro le Red Bull di Vettel e Webber. Di Resta 5° e Button 6° pescano il jolly in Q3, partendo più avanti rispetto ai loro standard, così come Van der Garde 14°, Bianchi 15° e Chilton 16°.
E Nando? 
Nando fa lo spaccone, ma solo in conferenza stampa. Giovedì dichiara di non esser preoccupato per l'arrivo di Raikkonen, in quanto il finlandese era spesso più lento di Massa nel triennio rosso. Un modo gentile per auto eleggersi migliore di entrambi in un attimo. In pista però, dopo delle buone sessioni iniziali, si perde clamorosamente in Q3, ed è vittima di un testacoda che gli fa perdere quei 10 secondi fondamentali per non prendere la bandiera a scacchi di fine qualifiche, e dunque guadagnarsi la possibilità di fare un giro in più sulla pista che andava asciugandosi.
Immagine tratta da formula1.com
E' inutile parlare e fare i gradassi, dichiarandosi fenomeni, se nelle condizioni in cui i fenomeni veri escono fuori, vai a sbagliare come un pivello.
Per domani promette un gran passo gara, ma siamo alle solite. Forse Nando ha dimenticato come andò la partenza lo scorso anno qui in Belgio quando scattò sesto, con quel pazzo di Grosjean che lo mise fuori gioco con uno strike degno del miglior bowling.
La gara si costruisce dalle qualifiche, e Alonso in qualifica sta disputando una stagione disastrosa. Domani scatterà 9°. Maledice le qualifiche anche Kimi Raikkonen, anche lui attardato dal fuori pista di Alonso, che non gli ha permesso per pochi secondi di poter fare un giro in più e partirà 8°.
La lotta per il campionato sembra essere un discorso a due, Vettel-Hamilton. La Mercedes è in grandissimo spolvero, in clamorosa rimonta. 31a pole in carriera per Lewis, 5a stagionale e addirittura quarta consecutiva. 48 punti di ritardo sono troppi, ma la Mercedes sembra l'unica in grado di impensierire Seb e la sua lattina volante.
Per domani il meteo è previsto instabile, spettacolo assicurato, nella pista più bella del campionato. La lotta Hamilton-Vettel vede due fenomeni sia sull'asciutto che sul bagnato, quindi si preannuncia una gara bellissima. 
Alonso si prenota per la solita domenica da leone, dopo un solito sabato da censura.
Nando lo spaccone riuscirà a fare il fenomeno anche in pista?
Ce n'è bisogno, anche perchè attorno a lui molti ferraristi stanno cominciando ad avere più di un dubbio, come mai prima d'ora.

Pagelline: 1°Hamilton 10, 2°Vettel 9, 3°Webber 8, 4°Rosberg 7,5, 5°DiResta 8, 6°Button 8, 7°Grosjean 6,5, 8°Raikkonen 5, 9°Alonso 4,5, 10°Massa 5,5, 11°Hulkenberg 6,5, 12°Sutil 6, 13°Perez 5,5, 14°Van der Garde 8,5, 15°Bianchi 8, 16°Chilton 8, 17°Maldonado 5, 18°Vergne 5, 19°Ricciardo 4,5, 20°Bottas 5, 21°Gutierrez 5, 22°Pic 5.

venerdì 23 agosto 2013

SI PARTE

Immagine tratta da gazzetta.it
Da domani pomeriggio torna la Serie A, ecco la griglia di partenza del 2013/14.
1a FILA: Juventus. E' la corazzata del campionato. Affamata, determinata, gioca a memoria. Perfetti gli innesti di Tevez e Ogbonna. Llorente sarà un corpo estraneo, un pennellone in quel 3-5-2 non c'entra nulla.
Milan. Di riffa o di raffa, l'anno scorso è arrivato comunque 3°. E' arrivato solo Poli, ma un Balotelli dall'inizio, con tutto ciò che ne deriva (rigorini compresi), permetterà ai rossoneri di partire meglio della passata stagione. E una volta in alto, il Milan ci rimane.
2a FILA: Napoli. Via Cavani e Mazzarri e dentro Higuain, Callejon, Mertens, Albiol e Rafa Benitez. Una bella squadra, ma deve trovare l'amalgama in fretta. Anzi, subito. 
Fiorentina. Marione Gomez è un bomber, da verificare la sua integrazione nel 3-5-2 viola. Pepito Rossi è l'arma in più. Ma la cessione di Jovetic e la poca tranquillità di Ljajic potrebbero pesare più del previsto.
3a FILA: Roma. Work in progress a Trigoria. Marquinhos, Osvaldo e Lamela salutano. Maicon, Benatia e Gervinho si presentano. La bella Roma di Spalletti nacque sulle ceneri di cessioni eccellenti. Che Garcia riesca a ripetere le imprese spallettiane?
Inter. Mazzarri è garanzia di risultati. Ma l'undici che inizia la stagione è imbarazzante. Il tecnico toscano dovrà essere il vero top player e spremere al massimo tutti. In attesa del tycoon indonesiano.
4a FILA: Lazio. I laziali non giocano bene, ma nella passata stagione, con Klose in forma hanno vinto spesso. Il rischio è l'apatia e il crollo dello scorso girone di ritorno. Petkovic è stato troppo lodato rispetto a ciò che mostrano gli aquilotti in campo.
Udinese. Stessa squadra, stesso mister. Stessa capacità di stupire, con un Muriel in forma sin dall'inizio e un anno in più per il sempreverde Di Natale. Tra le prime anche quest'anno?
5a FILA: Parma. Cassano con Amauri promette scintille. Assieme a Biabiany, Valdes, Paletta e Cassani, i gialloblù hanno costruito una rosa di qualità, guidata bene da Donadoni. Potrebbero essere la rivelazione.
Atalanta. Anche qui si scommette sulla continuità. Agli ordini di Colantuono arrivano Yepes, Migliaccio e il talentino Baselli. Il rischio è il conoscersi troppo.
6a FILA: Bologna. Via Gila, dentro Bianchi. Via Taider, dentro Della Rocca, Laxalt e il "nuovo acquisto" dopo l'infortunio, Natali. Al confermato Pioli e al capitano Diamanti, il compito di navigare in acque tranquille.
Torino. Capitan Bianchi e Ogbonna son partiti. Tra Moretti, Bovo, Bellomo, El Kaddouri, Immobile e Larrondo son arrivati bei giocatori, però il varo del 3-5-2 da parte di Ventura, non sembra digerito alla perfezione dalla rosa granata.
7a FILA: Sampdoria. Molte scommesse, ma una garanzia, grande come una casa: Delio Rossi. Progetto giovani sulla sponda blucerchiata, in rampa di lancio ci sono Regini, Eramo, Gabbiadini, Krsticic e Obiang. Potrebbe essere un campionato divertente e stimolante.
Genoa. Solito turbillion di calciatori e allenatori. L'esordiente Liverani e una rosa ancora in divenire. Trovando il feeling giusto nello spogliatoio e con il mister, e senza troppi interventi di Preziosi, il parco giocatori è molto buono: Gila, Santana, Kucka, Bertolacci, Antonelli, Lodi, Gamberini, Marchese.
8a FILA: Catania. Le cessioni di Lodi e Gomez sono colpi pesantissimi. Al loro posto tante scommesse, come Tachtsidis, Freire, Leto, Monzon e Peruzzi (due terzini argentini strapagati). Se tra questi non c'è qualche jolly, potrebbero esser dolori.
Chievo. 4-4-2 squadra quadrata e un mister come Sannino, che riesce a tirar fuori il meglio dal materiale umano a sua disposizione. Sulla carta, giocatori di basso profilo, ma può essere la classica squadra tignosa, che nei match salvezza non tradisce mai.
9a FILA: Verona. Agli ordini di Mandorlini sono stati messi giocatori di categoria come Donati, Romulo, Jankovic e nonno Toni. Se il tecnico non perderà la bussola, ha in mano una squadra che ha le qualità tecniche per salvarsi.
Sassuolo. Di Francesco punta tutto sul 4-3-3, sul bel gioco e la volontà di applicarsi dei suoi uomini. Potrebbe essere il Chievo di qualche anno fa, occhio a Terranova, a Kurtic e Berardi, nel giro di un anno potrebbero aver molto mercato.
10a FILA: Cagliari. Immobilità sul mercato (trattenuti tutti i gioielli, da Astori a Nainggolan passando per Ibarbo e Sau), e mobilità di stadio. Si comincerà a Trieste, ma poi? Al Sant'Elia che cade a pezzi? All' Is Arenas misteriosamente inagibile? Lo spettro di una stagione tutta in trasferta, metterebbe sul fondo dello schieramento chiunque.
Livorno. Spinelli e Capozucca si presentano al via con un 11 impresentabile per la Serie A. Povero mister Nicola, che dovrà dimenarsi tra i vari Emerson, Bernardini, Lambrughi e Ceccherini. Il rischio di diventare la squadra materasso è notevole.

domenica 18 agosto 2013

I 70 ANNI DELL'ABATINO

Immagine tratta da dnamilan.com
I suoi fan lo esaltavano per il tocco di palla vellutato, la regia lucida e precisa, l'abilità tecnica ed il talento fuori dalla norma. I detrattori parlavano di lui come di un giocatore che non corre, non dotato del fisico di un vero atleta, che costringeva i compagni a sacrificarsi per lui. Gianni Rivera ha diviso spesso il tifo in Italia, soprattutto nella Milano degli anni '60 che vinceva e convinceva in Europa con le sue due rappresentanti, e spesso si giocava Scudetti e intere stagioni nei derby. Quello che di sicuro è stato il numero 10 rossonero è un simbolo, una bandiera, un punto di riferimento per diverse generazioni di milanisti, un idolo come pochi altri. I suoi settant'anni, compiuti oggi, meritano un ricordo e un applauso da tutti gli appassionati di calcio italiani, e non solo.
La carriera di Gianni non inizia subito nel Milan. Ancora ragazzo, muove i suoi primi passi da calciatore nell'Alessandria, la squadra della sua città, che dopo una lunga assenza a fine anni '50 torna a giocare in serie A. Rivera esordisce nel massimo campionato che non ha nemmeno compiuto sedici anni, alla fine della stagione 1959, proprio contro quell'Inter che avrebbe affrontato ancora tantissime volte in futuro. Nel campionato successivo, nonostante la retrocessione dell'Alessandria, diventa una presenza fissa nella squadra e segna 6 reti, diventando il secondo marcatore più giovane nella storia della Serie A dopo il romanista Amadei. Le sue prestazioni gli valgono l'interessamento del Milan, ma il suo fisico esile e poco atletico non convincono del tutto i dirigenti, finché non interviene Schiaffino, uno dei leader della squadra rossonera, che apprezza le qualità del ragazzo e convince tutti ad acquistarlo. E' il 1960, e la carriera di Rivera con la squadra milanese proseguirà per altri 19 anni, con oltre 500 partite e 120 reti realizzate, oltre ad un incredibile numero di trofei. A fare la fortuna di Rivera sarà anche l'incontro con l'allenatore Nereo Rocco, che lo rende subito uno dei cardini del suo gioco, e con cui riesce ad esprimere il meglio delle sue potenzialità. Sotto la guida del Paron, Gianni sarà uno dei simboli del doppio ciclo milanista, che negli anni Sessanta porterà i rossoneri a vincere due Scudetti (1962 e 1968), due Coppe dei Campioni (1963 e 1969), una Coppa Intercontinentale (1969) e una Coppa delle Coppe (1968). Rivera è il Golden Boy del nostro calcio, il ragazzo d'oro che può portare la Nazionale e l'immagine sportiva dell'Italia alla rinascita dopo annate difficili e deludenti, eliminazioni precoci e dolorose. Qualcuno, come il grande giornalista Gianni Brera, non stravede per lui e lo fa notare etichettandolo spesso come "l'abatino", sempre per il suo fisico smilzo e la sua scarsa propensione alla corsa, ma Rocco lo difende sempre ritenendolo fondamentale per quello che è. Il valore internazionale del numero 10 rossonero è testimoniato dalla vittoria del Pallone d'Oro nel 1969, primo italiano nella storia a ricevere un simile onore. Anche dopo la fine della grande epopea milanista, Rivera continua a togliersi soddisfazioni sul campo, su tutte la vittoria di un'altra Coppa delle Coppe nel 1973 e un ultimo Scudetto, quello della stella, nel suo ultimo anno da calciatore, il 1979.
Anche l'avventura in Nazionale di Rivera è lunga e ricca di acuti e soddisfazioni, ma non solo. Il primo Mondiale lo disputa ad appena 19 anni, durante la sfortunata prestazione in Cile, il secondo in Inghilterra nel 1966 è altrettanto deludente, con la clamorosa eliminazione per mano della Corea del Nord e i pomodori al ritorno. Con l'avvento di Valcareggi, l'Italia vive la sua rinascita calcistica, e Rivera è uno dei protagonisti di questa nuova epoca d'oro del calcio azzurro. Nel 1968 si aggiudica il Campionato Europeo, anche se non disputa la Finale, e nel 1970 fa parte della spedizione in Messico che è entrata nell'immaginario di tutti gli sportivi. E' in quell'occasione che il suo dualismo con la stella dell'Inter, Sandro Mazzola, raggiunge l'apice per via della famigerata "staffetta" che vedeva il milanista subentrare al nerazzurro alla fine di ogni primo tempo, quasi per un accordo non scritto con l'allenatore. Pur da riserva, Rivera è protagonista della fase finale del torneo, prima decidendo con il suo ingresso in campo il Quarto di Finale contro i messicani padroni di casa, e poi soprattutto nel leggendario 4-3 in semifinale contro la Germania Ovest, quando si fa prima infilare sul suo palo da calcio d'angolo e poi, un minuto dopo, è nell'altra area di rigore a segnare la rete della vittoria azzurra. Anche nella finale persa con il Brasile di Pelé è protagonista, suo malgrado: stavolta la staffetta non avviene, Gianni gioca solo 6 minuti a gara già decisa, e le polemiche e i dubbi su quello che sarebbe stato con lui in campo turbano a lungo i sogni di Valcareggi e di tantissimi tifosi italiani. La carriera di Rivera in azzurro terminerà dopo un altro Mondiale, quello del 1974, e con la sua finirà anche quella di tantissimi protagonisti di questo glorioso ciclo italiano. In totale, ha disputato 60 partite in Nazionale, con un bottino di 14 reti, niente male per un regista.
Appesi gli scarpini al chiodo, Rivera rimane per un po' di anni nel mondo del calcio come vicepresidente del Milan, ruolo che lascia all'indomani dell'avvento di Berlusconi nel 1986. L'ambiente non si rivela pronto ad accettare uno come lui, con un carattere forte e poco accondiscendente rispetto a tanti altri atleti, così la sua carriera si sposta nella scena politica, dove diventa deputato, sottosegretario alla difesa per 5 anni ed europarlamentare. Solo di recente, nel 2010, Rivera torna a ricoprire un ruolo di rilievo nel mondo del calcio, quando il presidente Abete lo nomina Presidente del Settore Giovanile e Scolastico della Federazione. Ma nessuno, nonostante la sua assenza dalla scena calcistica, ha mai dimenticato le giocate e lo spettacolo offerto dal ragazzo-prodigio italiano, che con un tocco sapeva illuminare una partita e decidere una sfida. Nella Milano rossonera è ancora una delle bandiere più amate e adorate di sempre, per la controparte interista è rimasto uno degli avversari storici, il "nemico" di tanti derby dal sapore di Scudetto. Sempre un protagonista, dunque, e oggi che taglia il prestigioso traguardo dei 70 anni tutti si fermano per ricordarlo, e onorare uno dei talenti più puri del calcio italiano, un numero 10 che ha avuto pochi eguali e nessun vero erede dopo il suo ritiro. Nessuna divisione o fede calcistica, per quanto accesa e convinta, potrà negare quanto sia stato grande l'estro di un campione unico e inimitabile come è stato Gianni Rivera.

martedì 13 agosto 2013

ITALIA - ARGENTINA: TANTI RICORDI E UNO SGUARDO AL FUTURO

Immagine tratta da calcio.fanpage.it
La sfida di domani sera tra Italia e Argentina non può essere un'amichevole come tutte le altre, e non solo perché organizzata in onore di Papa Francesco. Quando scendono in campo due squadre che da sempre si considerano profondamente legate, soprattutto per la notevole emigrazione di italiani nella nazione sudamericana nel corso degli anni passati, si ha sempre la sensazione che si tratti di una specie di scontro in famiglia, tra due anime molto simili l'una all'altra. E ad alimentare l'atmosfera e il prestigio di questo confronto, si inseriscono le tante sfide che nel passato hanno messo di fronte le due formazioni, e i numerosi campioni che dall'Argentina sono giunti in Italia a impreziosire il nostro campionato, su tutti Diego Armando Maradona.
La prima sfida tra gli azzurri e i loro "cugini" sudamericani risale al secondo dopoguerra, quando nel dicembre del 1954 le due squadre si affrontano in amichevole. L'Italia viene da un deludente Mondianle disputato in Svizzera, gli argentini stanno anche peggio, perché non disputano la rassegna più importante da vent'anni, la loro ultima presenza risale al 1934. La sfida la vincono i padroni di casa per 2-0, con una rete per tempo di Frignani e Carlo Galli, ma l'Argentina si prende la rivincita un anno e mezzo dopo, quando restituisce ospitalità e risultato agli azzurri, vincendo a Buenos Aires per 1-0. Interessante la successiva sfida del giugno 1961, vinta 4-1 a Firenze dall'Italia, perché a segnare tre dei gol azzurri sono Ramon Lojacono e Omar Sivori, due argentini che ora vestono la maglia del Paese in cui giocano. Un altro netto successo arriva nel giugno del 1966, poco prima del Mondiale inglese, con un 3-0 secco firmato dalla doppietta di Pascutti e dal gol del compianto Gigi Meroni. Dopo questi primi incontri amichevoli, la sfida tra le due Nazionali diventa una sorta di abitudine anche a livello internazionale: per cinque Mondiali consecutivi, dal 1974 al 1990, Italia e Argentina si trovano sempre di fronte. La prima sfida si gioca in Germania, nel primo turno, e fa registrare il primo pareggio tra le due formazioni. I sudamericani passano in vantaggio con Houseman, poi vengono raggiunti da un'autorete del capitano Perfumo, ma alla fine saranno loro a festeggiare, perché la successiva sconfitta azzurra contro la Polonia gli permetterà di accedere alla seconda fase del torneo, proprio a spese di Rivera, Mazzola e compagni. Nel 1978, durante il Mondiale che si disputa proprio in Argentina, gli organizzatori fanno in modo che entrambe le squadre finiscano nello stesso girone per un preciso scopo: vogliono far confrontare le due anime del Paese, e in caso farle rincontrare solo in finale. Le due formazioni sono a punteggio pieno, ma non fanno turnover e si affrontano a viso aperto, in un match bellissimo. Vince l'Italia di Bearzot, con un guizzo di Bettega, ma ancora una volta è l'Argentina a ridere per ultima, perché per la prima volta si laureerà Campione del Mondo, mentre gli azzurri saranno quarti nonostante l'ottimo gioco espresso.
Nell'estate del 1979 le due squadre si ritrovano in amichevole a Roma, e più del 2-2 finale ciò che interessa è l'esordio su un palcoscenico italiano di un diciottenne argentino, non molto alto, con la maglia numero 10 dietro le spalle e talento che sprizza da ogni suo tocco di palla. E' in quell'occasione che Diego Armando Maradona si presenta per la prima volta in Italia, avversario che affronterà molte altre volte in futuro, la prima nel 1982 durante il Mondiale spagnolo. Gli azzurri hanno stentato fino a quel momento, l'Argentina del Pibe non ha brillato ma sembra più forte, almeno sulla carta. Bearzot fa la mossa giusta, attacca un mastino come Gentile alle caviglie di Maradona, e l'Italia vince per 2-1, iniziando così la cavalcata che si concluderà a Madrid con la terza Coppa del Mondo nella storia azzurra. Quattro anni dopo, in Messico, le due squadre sono di nuovo di fronte, stavolta in girone. Diego è cresciuto e maturato negli anni, è già un idolo a Napoli, e ha la missione di portare al titolo la sua squadra. L'Italia va in vantaggio con Altobelli su rigore, Maradona con un tocco dei suoi ottiene il pareggio, risultato che va bene a entrambi. Il percorso degli azzurri sarà breve, stroncato dalla Francia di Platini, mentre l'Argentina arriverà al successo finale, trascinata ovviamente dalle prodezze e dai gol del suo numero 10. Maradona segnerà ancora contro l'Italia, l'anno dopo durante un'amichevole, ma stavolta uscirà sconfitto 3-1 dal contronto con il gruppo giovane e rinnovato di Vicini, che vuole inaugurare un nuovo ciclo vincente. E ancora una volta, nel Mondiale ospitato in casa nel 1990, l'Argentina si frapporrà sulla strada degli azzurri, in una semifinale memorabile giocata al San Paolo di Napoli, in quella che è la casa di Diego, con il pubblico che non sa per chi tifare. Schillaci, eroe di quel torneo, illude gli azzurri, Caniggia e un errore di Zenga mandano la partita fino ai rigori, dove il portiere Goycoechea è l'eroe e porta i sudamericani alla finale. L'Italia chiuderà terza vincendo la "finalina" con l'Inghilterra, Maradona subirà i fischi degli italiani a Roma e uscirà sconfitto dal confronto decisivo con la Germania Ovest, tra mille recriminazioni e polemiche. Dopo questo lungo ciclo di sfide, incredibilmente, Argentina e Italia si sono affrontate solo un'altra volta, nel febbraio del 2001, quando gli azzurri di Trapattoni furono sconfitti in casa 2-1 dagli uomini di Bielsa. Entrambe le formazioni, considerate due delle più serie pretendenti al Mondiale 2002, usciranno invece con le ossa rotte dal torneo, deludendo molto le aspettative.
Quella di domani sera, dunque, sarà la quattordicesima sfida tra Italia e Argentina, la prima da 12 anni a questa parte. La partita purtroppo ha già perso due grandi stelle prima ancora del calcio d'inizio, visto che Messi e Balotelli si sono infortunati e non scenderanno in campo, ma lo spettacolo non mancherà. Sarà un test che probabilmente dirà poco, come spesso accade nelle amichevoli di ferragosto, ma senza dubbio avrà già un sapore di Mondiale, quel torneo a cui entrambe le squadre guardano con fiducia per la prossima estate. Gli azzurri sognano di tornare grandi otto anni dopo la strepitosa vittoria di Berlino, gli argentini vogliono ritornare ai fasti del periodo di Maradona, con Messi che avrà la grande chance di mettere a tacere chi dice che è un fenomeno nel Barcellona e un giocatore normale in Nazionale. Prepariamoci dunque ad un'altra sfida accesa e interessante, come è sempre stato e sempre sarà tra Italia e Argentina, due Paesi molto diversi ma con un'anima e un cuore che continuano a battere molto, molto vicini.

lunedì 12 agosto 2013

PAGELLE PRESTAGIONALI

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Con la vittoriosa esibizione di Olbia contro il Catania (3-2), il Cagliari chiude la serie di amichevoli pre-stagionali e si prepara all'esordio in Coppa Italia di sabato prossimo contro il Frosinone, e quello in campionato contro l'Atalanta. Entrambe le partite verranno disputate nell'impianto "casalingo" di Trieste.
Sono 7 le amichevoli disputate in questa fase di ritiro: dopo le poco impegnative partite contro Sappada (13-0) e Rappresentativa Friuli (12-1), si è saliti di livello e si è superato prima il Tamai (4-0) e poi l'Olbia (1-0), compagini di Serie D, ed infine il CF Ajaccio (terza serie francese, 1-0). I test probanti di pari livello contro lo spagnolo Real Valladolid (0-0) e Catania (3-2) hanno chiuso un precampionato molto soddisfacente in casa sarda.
Pagelle per tutti.
Portieri: Agazzi (6,5) dimostra di essere già in palla, specie nella partita con il Valladolid. Avramov (5) cicca clamorosamente la partita con il Catania, paperando sulla punizione di Bergessio prima e sul raddoppio sempre del puntero argentino poi. L'inattività si fa sentire. Una buona riserva, cocco dello spogliatoio, ma nulla più.
Terzini: Avelar (5) piazza una bella punizione contro i dilettanti, ma sembra sempre il solito terzino timido che fa il compitino, senza risultare determinante. Murru (6,5) è in rampa di lancio per soffiargli il posto, con le sue sgroppate più incisive.
Sull'out di destra, Pisano (sv) starà fuori ancora qualche mese, e si giocano il posto Dessena (6,5) e Perico (6). Dessena è stato provato più volte come terzino destro e ha convinto, buon senso della posizione, ma pochissima propensione ad appoggiare il gioco. Perico poteva avere la grande occasione da quando è in Sardegna, ma complici le voci di mercato, è un elemento sul quale il giudizio è sempre sospeso, nè carne nè pesce. 
Astori (5) è rimasto e, in ritardo di preparazione contro Valladolid e Catania ha avuto più di qualche amnesia, la speranza è che non siano i suoi soliti blackout visti nella scorsa stagione. Rossettini (6,5) è una garanzia, sempre puntuale e non commette errori. Ariaudo (6) si è visto poco, probabilmente verrà ceduto per giocare titolare. Più di lui è stato schierato Oikonomou (7) il greco, fisico da granatiere, ottimo colpo di testa e buoni piedi, dovrà migliorare nella marcatura stretta, ma è un buon prospetto. Del Fabro (6) gioca solo i match meno impegnativi.
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Centrocampo: Conti (7) sempre maestoso, smista palloni con estrema facilità contro ogni avversario, è indispensabile a dispetto dei 34 anni. Nainggolan (7) è già in forma, superlativa la prestazione contro il Valladolid, con inserimenti finalmente efficaci e persino qualche dribbling. Ekdal (6) bel gol contro i dilettanti, ma cede spesso la maglia da titolare a varie prove effettuate da Lopez, al solito comunque è una sicurezza. Ricordando che c'è sempre Dessena come prima alternativa in mediana, torna la meteora Rui Sampaio (6,5), che dimostra anche lui un gran fisico e buoni inserimenti e tecnica, ma il fatto che non venga più schierato nei match con squadre di pari livello, sa di bocciatura. Eriksson (5) è schierato come prima alternativa sempre più frequentemente, ma non convince mai. Quest'anno dovrà dimostrare che i soldi spesi e l'anno ad aspettarlo dall'infortunio non sono stati vani.
Trequartisti: Cossu (8) sembra tornato quello di qualche anno fa. Fonte inesauribile di gioco, serpentine e dribbling, quanto stitico in zona gol. Se non si infortunerà, sarà la fortuna della squadra. Cabrera (5) sfigura di fronte a cotanto giocatore, si limita ai passaggini semplici e retropassaggi, in un ruolo che esige i cambi di marcia.
Punte: Nenè (8) è stato il mattatore dell'estate, 9 gol, è l'alba di una rinascita o sta raccogliendo lo scettro di Larrivey, che segnava solo quando i punti non contavano? Pinilla (7) si dimostra sul pezzo e risponde con 6 reti, con tanto di doppietta al Catania. Sarà probabilmente lui il titolare, ma con un Nenè così dovrà rimanere sempre concentrato.
Come seconde punte, Ibarbo (7,5) è al solito determinante. Dribbling, fughe, rigori e cartellini procurati, è indispensabile. Sau (6) è partito un po' in sordina, con sole 2 reti realizzate. La sensazione è che parta dietro il colombiano nei primi match della stagione.
Diego Lopez (7), la tranquillità della squadra e l'idea di gioco è lampante rispetto al precampionato scorso targato Ficcadenti, dove si vedeva spesso e volentieri Pinilla buttato all'ala a crossare. Questa sorta di auto-gestione dello spogliatoio, con il vecchio Capitano, sembra avere ottime basi e solidi risultati.

venerdì 9 agosto 2013

MURRU NO

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Gigi Di Biagio, il nuovo mister della Nazionale Under 21, nel suo primo elenco di convocati ha incluso 8 novità, i difensori DiLorenzo (Reggina), Piccini (Livorno), i centrocampisti Battocchio (Watford), Benassi (Livorno) e Fossati (Bari), le punte Belotti (AlbinoLeffe), Comi (Novara) e Improta (Chievo). 
Colpisce che nell'elenco dei 24 convocati, non ci sia il cagliaritano Nicola Murru.
Cagliaritano doc, nato il 16 dicembre 1994, Murru ha collezionato sinora 15 apparizioni in Serie A e 2 in Coppa Italia, la maggior parte delle quali dal primo minuto.
Impiegato come terzino di fascia sinistra, ma capace di giocare anche sull'out opposto, il giovane ragazzo della Primavera rossoblù è stato una delle liete sorprese della travagliata annata senza stadio del Cagliari.
Molto attento in fase difensiva, e capace di buona spinta offensiva, grazie a gamba e fisico prestante, Murru ha sfilato la maglia da titolare per il finale di stagione al buon Danilo Avelar, che pure non aveva sfigurato. E in questa stagione è sulla rampa di lancio già dalle prime amichevoli, per giocare titolare.
Ma secondo i selezionatori azzurri questo non basta per affacciarsi all'Under 21. I convocati come terzini sono Biraghi del Cittadella, DiLorenzo della Reggina, Piccini del Livorno, Sabelli del Bari. Biraghi è un terzino sinistro classe 1992, in prestito al Cittadella dall'Inter, molto reclamizzato per i suoi trascorsi nella primavera nerazzurra, che ha all'attivo 0 presenze in A e 44 in Serie B tra JuveStabia e Cittadella. DiLorenzo è un terzino destro toscano, classe 1993, reduce da una stagione a Cuneo in Serie C1 e 2 presenze in B con la Reggina, suo club di appartenenza. Piccini è un terzino mancino classe 1992, appartenente alla Fiorentina (1 presenza in A), girato un anno in C1 alla Carrarese e lo scorso anno allo Spezia per 26 presenze in Serie B, anch'egli gode di buona pubblicità per i trascorsi viola. Infine Sabelli del Bari è un terzino destro del 1993 della Roma, in prestito in B al Bari dove ha collezionato 29 presenze la scorsa stagione. 
Come si nota, nessuno di questi ha uno score migliore del sardo Murru, sinora mai convocato in Under21, nonostante sia nel gruppo dei titolari di una squadra di Serie A.
L'incomprensibile discorso si allarga anche all'Under 20 di Evani, dove il nostro è ugualmente mai stato chiamato, e che alla voce difensori presenta Zampano (JuveStabia), Nava (Novara), Nicolao (V.Lanciano), Liviero (Carpi), Rugani (Empoli), Barba e Biraschi (Grosseto), Prestia (Crotone), Speranza (Pisa). Insomma una manica di carneadi con nessuna presenza nella massima serie, i più famosi sono Rugani e Prestia, con trascorsi unicamente in Serie B.
Non si capisce l'ostracismo verso il giovane prodotto del vivaio del Cagliari, anche perchè di '94 che giocano con una certa continuità nella massima serie ce ne son davvero pochi.

Una nuova Inter nel segno di Walter Mazzarri


E’ una nuova Inter quella che si sta plasmando attorno al neo tecnico Walter Mazzarri, a partire dal modulo: il 3-5-2. Una rivoluzione necessaria dopo le ultime annate povere di successi.
La difesa a tre, tanto osannata da Gasperini e ripudiata da Moratti all’epoca, ora diventa il punto fermo del modulo del tecnico toscano. L’esperienza non manca grazie a Samuel e Campagnaro che affiancheranno i più giovani Juan Jesus e Andreolli. Ranocchia e Chivu per ora sono confermati ma non è un mistero che un’offerta allettante per l’ex Bari sarebbe presa in considerazione cosi come la possibilità di piazzare il rumeno.

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Il centrocampo è il reparto che più si vede rivoluzionato dal punto di vista tattico. In assenza dell’inossidabile Zanetti la fascia di capitano passerà a Cambiasso che verrà affiancato dalle uniche note liete dello scorso anno: Kovacic e Guarin. A sinistra Pereira e Nagatomo si giocano un posto da titolare con il nipponico in vantaggio mentre a destra Jonathan rimarrà, Schelotto partirà. Si attente un innesto importante, i nomi caldi sono quelli di Isla, Van der Wiel e Basta, il solo Wallace in prestito dal Chelsea non può bastare. Completano il reparto Alvarez, Mudingayi e Obi.

In attacco i maggiori investimenti finora: Icardi e Belfodil. Palacio super confermato e con un Milito all’ultima stagione (e forse anche meno) completano il reparto offensivo. Attende una sistemazione (si spera temporanea) Samuele Longo.

Ma è finito qui il mercato dell’Inter? Tutto dipenderà dall’entrata in società di Thohir che porterebbe soldi freschi. Tali risorse tuttavia non sarebbero destinate alla campagna acquisti, ma a risanare i buchi di bilancio degli ultimi anni, l’unico colpo sarebbe il centrocampista Radja Nainggolan, mezzo belga mezzo indonesiano, che diventerebbe l’uomo-simbolo della nuova dirigenza asiatica.