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venerdì 30 maggio 2014

DI BARTOLOMEI: VENT'ANNI DALLA MORTE DEL CAPITANO SILENZIOSO

Immagine tratta da Wikipedia.it
30 maggio 1994, ore 8 del mattino circa. Uno sparo turba improvvisamente la tranquillità di Castellabate, poi il silenzio torna a regnare, non solo sulla città. Termina così, in modo traumatico e del tutto inatteso, la vita di Agostino Di Bartolomei, una delle bandiere della storia della Roma, un simbolo della squadra che, nei primi anni Ottanta, ha conteso alla Juventus il predominio nel campionato italiano. E' la tragica fine di un campione amatissimo dai tifosi, un antidivo per tutta la sua carriera, un personaggio che forse è stato dimenticato troppo presto dai dirigenti e da quel mondo che per molti anni aveva rappresentato la sua vita.
Romano e romanista di nascita, "Ago" abbraccia fin da subito i colori giallorossi, arrivando presto in prima squadra e diventando in poco tempo una pedina insostituibile a centrocampo. Regista difensivo di buona tecnica, poi reinventato anche come libero nella parte finale della carriera, dotato di un tiro violentissimo, capace di sopperire con tempismo e ottima visione di gioco ai suoi limiti fisici, freddo e sempre lucido nei momenti decisivi, è il capitano e il leader naturale di una squadra che lentamente emerge dall'anonimato e diventa protagonista in serie A. Intorno a lui e ad altri grandi protagonisti come Tancredi, Pruzzo, Bruno Conti, Falcao e Ancelotti, sotto la guida serena ed esperta di Nils Liedholm, la Roma è protagonista di ottime annate, su tutte l'indimenticabile 1983, con la conquista del secondo scudetto della sua storia al termine di una cavalcata trionfale. L'anno successivo, i giallorossi hanno l'occasione di scrivere la storia: la finale di Coppa dei Campioni si disputerà proprio nella Capitale, è un occasione irripetibile per centrare il trionfo davanti ai suoi tifosi. Gli sforzi dei capitolini vengono premiati, Di Bartolomei e compagni arrivano all'ultimo atto del torneo, ma si trovano davanti un Liverpool forte e cinico, che non si fa condizionare dall'ambiente a dir poco rovente, e ai rigori porta a casa il trofeo. E' il 30 maggio del 1984, ed è una delle ultime apparizioni di Agostino con la "sua" maglia, quella che ha indossato per quindici anni, la maggior parte dei quali da capitano.
Con l'addio di Liedholm e l'arrivo del nuovo allenatore Eriksson, per la vecchia bandiera non c'è più spazio, il rapporto con la società dopo la finale persa non è più lo stesso, e così dopo una vita in giallorosso Di Bartolomei fa le valigie e se ne va. Segue il suo vecchio mister al Milan, una squadra giovane e ambiziosa, che vuole tornare grande dopo due retrocessioni in B e annate molto deludenti. Rimane a Milano per tre stagioni mantenendosi su buoni livelli e segnando anche il classico gol dell'ex alla "sua" Roma, con tanto di esultanza polemica. Nell'estate del 1987, con l'arrivo in panchina di Arrigo Sacchi, il vecchio e lento centrocampista è tra i primi a partire, inadatto com'è al calcio veloce e innovativo del mago di Fusignano. Dopo un'ultima stagione in A con il Cesena, Di Bartolomei scende in serie C, nella Salernitana, squadra della provincia di cui è originaria la moglie, e disputa gli ultimi due campionati della carriera, coronando il sogno dei campani di tornare in serie B dopo 23 anni. E' la sua ultima impresa sul campo, nell'estate del 1990 Ago dice basta, e a 35 anni si ritira dal calcio giocato.
E' da questo momento che inizia la lenta, inesorabile discesa che porta Di Bartolomei sempre più in basso, che ingigantisce il tarlo nella mente di un vecchio campione che sente di aver perso qualcosa, prova un vuoto profondo nel suo animo. Vorrebbe aprire una scuola calcio per bambini, ma incontra mille difficoltà burocratiche e sociali, fa degli investimenti nel mondo dell'imprenditoria che si rivelano fallimentari. Soprattutto, aspetta invano una chiamata dalla sua Roma, da quella squadra che ha sempre amato anche dopo il doloroso addio, e che nonostante tutto lo ignora, sembra averlo dimenticato. Il 30 maggio 1994, dieci anni dopo quella finale persa contro il Liverpool, il peso dei ricordi e della nostalgia diventa insostenibile, e Agostino Di Bartolomei decide che così non può più vivere. Il capitano silenzioso e razionale, l'uomo freddo che non ha mai avuto un eccesso, un gesto fuori dalle regole, fa quello che nessuno si aspetta, e compie l'estremo gesto del suicidio.
Gli onori postumi non cancellano la lunga e immotivata assenza di chi ha dimenticato troppo in fretta quello che l'uomo e il calciatore hanno regalato alla città e ai colori giallorossi. Da quel tragico 30 maggio 1994, la Roma piange due volte, ricordando queste due grandi perdite, la prima sportiva, l'altra umana. E oggi, a vent'anni da quel gesto tremendo e che ancora qualcuno non riesce a perdonarsi, si stringe commossa nella celebrazione del capitano del magico Scudetto del 1983, il leader silenzioso e lontano dalle cronache, che solo quando se n'è andato ha fatto davvero capire quanto fosse grande la sua presenza.

lunedì 11 novembre 2013

PER FAVORE, NON CHIAMATELI ULTRAS

Immagine tratta da giornalettismo.com
Con una partita come Juventus-Napoli, sarebbe sembrato più che logico scrivere un articolo in merito, parlare di quanto si è visto in campo, su una bella partita che dovrebbe essere uno stimolo per chi si è allontanato da questo sport per convincerlo a tornare allo stadio. Invece, preferisco concentrarmi su un semplice campo di Lega Pro in cui è accaduto qualcosa che altrove sarebbe sconcertante solo pensare, impossibile per chi non vive la realtà calcistica del nostro Paese.
Salerno, stadio Arechi: l'attesissimo derby tra la squadra locale e la Nocerina dura appena 20 minuti, perchè gli ospiti esauriscono i cambi dopo un minuto e rimangono infine in sei, troppo pochi da regolamento per disputare una partita. La vicenda è già assurda raccontata in questo modo, diventa irrazionale e inverosimile se si pensa che quanto è successo è il risultato delle minacce e delle intimidazioni di un pugno di violenti e delinquenti che non vale neanche la pena di chiamare tifosi. La motivazione è da ricercarsi nel pre-gara. Salernitana e Nocerina sono divise da una fiera rivalità, che è più volte sfociata in passato in scontri e violenza. Per evitare il sorgere di nuovi disordini, il Prefetto di Salerno ha disposto il divieto di trasferta ai tifosi ospiti, ma non è riuscita a scoraggiare i rappresentanti della curva. Questi si sono recati a Salerno e hanno intimato con minacce ai propri "beniamini" di non scendere in campo per solidarietà nei loro confronti, e sono riusciti nel loro intento, visto che la squadra è scesa in campo per evitare multe e sanzioni ma ha usato il ridicolo escamotage degli infortuni per far sospendere la sfida. E mentre i dirigenti e l'allenatore della Nocerina presentavano le dimissioni, mentre tutto il mondo del calcio si indignava di fronte a questo spettacolo patetico e desolante, gli unici ad esultare erano questi presunti "tifosi", felici per aver raggiunto il loro scopo.
La domanda che sorge spontanea è: vale davvero la pena di definire "tifosi" o "ultras" queste persone? Che diritto ha una frangia di appassionati di decidere al posto di altri se una partita si deve giocare o meno? Che potere hanno la tessera del tifoso, i Daspo e tutti i provvedimenti restrittivi se ogni volta ci troviamo di fronte a questo annoso problema che affligge tutti gli stadi d'Italia. Io, da amante del calcio e tifoso convinto, sinceramente non mi sento di definire "ultras" e meno che mai "tifosi" questa gentaglia, questa massa di delinquenti che si nasconde dietro ad una bandiera o a uno sport per giustificare azioni che di sportivo e di leale non hanno proprio niente. Sono anni che ci troviamo a parlare sempre dello stesso problema, che assistiamo impotenti a episodi simili a questo, con le susseguenti voci di protesta e condanna che si levano per qualche ora, e poi tutti tacciono e aspettano un intervento non si sa bene da chi, almeno fino al nuovo episodio qualche domenica dopo. Se davvero la Lega tiene al prodotto che sta vendendo, se davvero il movimento sportivo italiano vuole che la gente torni ad amare il calcio dopo tanti scandali, cominci con il dare un segnale forte in queste occasioni. Una minoranza non può comandare sugli altri, coloro che vanno allo stadio sono tutti uguali, che paghino un biglietto o un abbonamento, che siano della curva o della tribuna vip, che seguano la squadra sempre e ovunque o che la vedano solo una volta all'anno. Chi sta seduto tutto il tempo e non dice una parola ha gli stessi diritti e doveri di chi canta dal primo all'ultimo minuto, e non va per questo biasimato, isolato o insultato. Ognuno ha il suo modo di vivere un evento, sportivo e non, si tratta di libertà di opinione, a patto ovviamente di rimanere nei limiti consentiti dalla legge.
I capi delle curve sono noti a tutti, società in primis, hanno precedenti e segnalazioni ma sono sempre là, a comandare e ad imporre le proprie regole come fossero tanti padroni. Che i presidenti e i giocatori inizino a distanziarsi da questa gente, che li isolino e li segnalino a chi di dovere, che boicottino o addirittura facciano sciogliere i gruppi organizzati. Coreografie e incitamento sono parte essenziale del calcio, ma non devono essere seguiti da intimidazioni, minacce o prese di posizione, questo senso di impotenza e rassegnazione deve sparire una volta per tutte. E soprattutto, e questa è la cosa più importante, smettano i giornalisti di definire queste persone "ultras", perché queste persone sono tutto fuorché ciò che il termine ultras rappresenta. Nel dizionario, l'ultras "è caratterizzato da un forte senso di appartenenza al proprio gruppo e dall'impegno quotidiano nel sostenere la propria squadra, che trova il suo culmine durante le competizioni sportive." Nessun accenno alla violenza o alla prepotenza, solo sana passione e convinto tifo sportivo. E' questa l'essenza del calcio e del tifoso, è questo lo spirito con cui si deve assistere ad una partita, che si vinca o che si perda. Che tutti se lo ricordino, nei Palazzi dorati del pallone, prima che questo splendido gioco, già sporco e corrotto da troppi scandali, perda per sempre quel poco di innocenza che gli rimane.