Visualizzazione post con etichetta sacchi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sacchi. Mostra tutti i post

giovedì 19 febbraio 2015

IN DIFESA DI SACCHI

Immagine tratta da datasport.it e modificata su befunky.com
"Oggi vedevo il torneo di Viareggio, e, io non sono razzista eh, ho avuto Rijkaard, però vedere così tanti giocatori di colore, vedere così tanti stranieri, beh, è un'offesa per il calcio italiano. Io son stato al Real Madrid, avevamo i giocatori più famosi del mondo, i giornalisti e i tifosi ci criticavano perchè non c'erano ragazzi della cantera e spagnoli; quando mai in Italia succede questo, siamo proprio un popolo, non dico quello che penso, che non ha dignità oltre a non avere orgoglio per il proprio Paese". Sono bastate queste parole per mettere alla gogna il povero Arrigo Sacchi.
L'onnipresente paroliere del governo con delega allo sport Delrio subito a bacchettare, seguito a ruota da geni patentati tipo Raiola e Blatter.
Il punto è: ma la frase di Sacchi è effettivamente razzista?
Se si sta guardando una partita del torneo di Viareggio, e non si riconoscono i giocatori, vedendo sul terreno di gioco 5/6 ragazzi di colore, è razzista pensare che costoro non siano italiani? Penso che rientri in una casistica del calcolo delle probabilità. Magari sono italiani nati da famiglie integrate bla bla bla, ma è molto più probabile che provengano dall'estero.
E ovviamente nel calcio se uno urla "razzista", tutti i pecoroni aumentano l'eco. Dovrebbe far più rumore che un maestro di calcio (perchè tale è Arrigo), un battitore libero del pensiero sempre coerente con le sue idee, definisca la propria nazione, calcistica e non, come senza orgoglio per il proprio Paese.
E' un giudizio pesante, tagliente. Le non reazioni su questo punto della stessa intervista di Sacchi, dimostra quanto il vate di Fusignano abbia ragione.
Ci si scandalizza se oggettivamente si dice che in campo c'erano tanti giocatori di colore, mentre scivola addosso l'accusa di essere senza dignità ed orgoglio nazionale.
Se proprio razzismo doveva esserci, era proprio il contrario: verso il Paese e il calcio italiano, reo di non proteggere i propri talenti e la propria unicità.
Ma in quanti hanno letto la frase seguente a quella "incriminata"? 
Sacchi va difeso. Perchè non ha padroni, perchè quando parla di calcio lo fa con coerenza e mette il gioco di squadra come base fondamentale di tutto, è uno che predica il collettivo come esaltazione del singolo. Perchè non ha paura di criticare Ibra o Allegri o chiunque altro, troppo abituati a domande o interviste zerbinate.
Va da sé che abbia commesso una leggerezza, specie in un Paese superficiale che vive di chiacchiere ed etichette come il nostro. 
Che poi, mica ha detto che ha visto tanti giocatori di colore "che prima mangiavano le banane", richiamando la becera associazione tra colored e mangiatori di banane, come fece il nostro Presidente della Federazione. Quella sì che era una frase razzista e preconcetta. Ma Tavecchio aveva troppi santi in Paradiso e andava capito, no? 

sabato 1 novembre 2014

I CINQUANT'ANNI DI MARCO VAN BASTEN, IL CIGNO DI UTRECHT

Immagine tratta da Wikipedia.it
"E' stato il più grande attaccante che io abbia mai allenato. Il suo ritiro è stata una tremenda sfortuna per tutti: lui stesso, il Milan, il calcio." Basterebbero queste parole, pronunciate da un guru del calcio come Fabio Capello, per spiegare a tanti giovani tifosi chi è stato Marco Van Basten, e cosa ha rappresentato nello mondo dello sport in assoluto. Oggi, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, è giusto e doveroso rendere omaggio ad uno dei più grandi e forti giocatori di sempre nella storia del calcio. Un talento purissimo, un mix strepitoso di potenza, intelligenza e tecnica individuato, una macchina da gol letale, che si è inceppata troppo presto, tra sfortuna e infortuni vari.
Che Van Basten fosse una sorta di predestinato si intuì fin dal suo esordio con l'Ajax: a nemmeno diciotto anni, entrò in campo al posto di un mito vivente come Johann Cruyff, e nella stessa partita si tolse la soddisfazione di mettere subito a segno il suo primo gol. Il primo di una lunghissima serie, che in breve tempo portò il "cigno di Utrecht" a diventare uno dei bomber più prolifici del panorama europeo e mondiale, e uno dei talenti più ambiti dalle grandi squadre. Il colpo lo realizzò il Milan di Sacchi e Berlusconi, che inserendo lui e il connazionale Ruud Gullit in un ottimo nucleo di talenti italiani diede vita ad una delle squadre più forti di sempre nella storia del calcio. A Milano vivrà gli anni più sfolgoranti della sua carriera, con medie realizzative altissime ed un numero impressionante di trofei, individuali e di squadra, portati a casa in Italia e in Europa. Giusto per citarne qualcuno, ricordiamo i tre Scudetti, le due Coppe dei Campioni e le altrettante Coppe Intercontinentali, i due titoli di capocannoniere della Serie A e, soprattutto, i tre Palloni d'Oro conquistati in appena cinque stagioni e mezza in maglia rossonera.
Per moltissimi difensori del nostro campionato Van Basten rappresentò un enigma irrisolvibile, un avversario impossibile da marcare. Possente fisicamente, e al tempo stesso delicato e raffinato tecnicamente, in campo a volte assomigliava ad un ballerino per le movenze felpate, e a queste doti abbinava una precisione ed una rapidità incredibile nel finalizzare ogni giocata, oltre ad un istinto spietato davanti alla porta. Presto tutto il mondo iniziò a conoscere il suo enorme talento, e il suo apice lo raggiunse nel memorabile Campionato Europeo del 1988, in cui i suoi gol trascinarono l'Olanda alla sua prima e tuttora unica affermazione a livello continentale. Memorabile, in questo senso, la rete del 2-0 nella finale contro l'Unione Sovietica, una delle più belle di sempre nella storia del calcio: un destro al volo, spettacolare e preciso, dal lato esterno dell'area di rigore, un gesto tecnico impensabile per un giocatore "normale", che ancora oggi sembra una poesia ogni volta che viene riproposto.
Una perfetta macchina da gol, insomma, se non fosse stato per quella maledetta caviglia, autentico punto debole del gigante olandese. Già reduce da due infortuni seri e ormai abituato a convivere con il dolore, nel dicembre del 1992 Van Basten decise di sottoporsi ad una operazione, con la speranza di risolvere finalmente il problema. Fu l'inizio del suo calvario, con un breve ed illusorio ritorno a fine stagione, una finale di Champions League persa con il Marsiglia e giocata nonostante il dolore ancora molto forte, quindi un nuovo ritorno sotto i ferri e la lunga, disperata rincorsa ad una forma che ormai sembrava perduta. Lottò per due anni, senza più vedere il campo, e alla fine capì che non c'era più nulla da fare e gettò la spugna: la sua carriera finì ufficialmente nell'agosto del 1995, quando aveva trent'anni, ma realmente si era conclusa due anni prima, con quella sfortunata finale di Champions League.
Dopo alcuni anni Van Basten ha cercato di ripercorrere, da allenatore, gli stessi successi ottenuti da giocatore, sia come allenatore di club che in Nazionale, ma i risultati sono stati altalenanti e non sempre positivi, ben distanti da quelli ottenuti sul campo. Anche per questo, noi nostalgici e amanti di questo sport continuiamo a ricordarlo per quel fenomeno che era con il pallone tra i piedi, quando faceva impazzire i difensori avversari e segnava tanti, bellissimi gol, in quella che è stata una carriera breve e folgorante, unica nel suo genere, per un uomo che si è sempre definito "un giocatore normale, che ogni tanto fa cose normale". Tanti auguri Marco, e grazie di tutto.