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sabato 1 novembre 2014

I CINQUANT'ANNI DI MARCO VAN BASTEN, IL CIGNO DI UTRECHT

Immagine tratta da Wikipedia.it
"E' stato il più grande attaccante che io abbia mai allenato. Il suo ritiro è stata una tremenda sfortuna per tutti: lui stesso, il Milan, il calcio." Basterebbero queste parole, pronunciate da un guru del calcio come Fabio Capello, per spiegare a tanti giovani tifosi chi è stato Marco Van Basten, e cosa ha rappresentato nello mondo dello sport in assoluto. Oggi, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, è giusto e doveroso rendere omaggio ad uno dei più grandi e forti giocatori di sempre nella storia del calcio. Un talento purissimo, un mix strepitoso di potenza, intelligenza e tecnica individuato, una macchina da gol letale, che si è inceppata troppo presto, tra sfortuna e infortuni vari.
Che Van Basten fosse una sorta di predestinato si intuì fin dal suo esordio con l'Ajax: a nemmeno diciotto anni, entrò in campo al posto di un mito vivente come Johann Cruyff, e nella stessa partita si tolse la soddisfazione di mettere subito a segno il suo primo gol. Il primo di una lunghissima serie, che in breve tempo portò il "cigno di Utrecht" a diventare uno dei bomber più prolifici del panorama europeo e mondiale, e uno dei talenti più ambiti dalle grandi squadre. Il colpo lo realizzò il Milan di Sacchi e Berlusconi, che inserendo lui e il connazionale Ruud Gullit in un ottimo nucleo di talenti italiani diede vita ad una delle squadre più forti di sempre nella storia del calcio. A Milano vivrà gli anni più sfolgoranti della sua carriera, con medie realizzative altissime ed un numero impressionante di trofei, individuali e di squadra, portati a casa in Italia e in Europa. Giusto per citarne qualcuno, ricordiamo i tre Scudetti, le due Coppe dei Campioni e le altrettante Coppe Intercontinentali, i due titoli di capocannoniere della Serie A e, soprattutto, i tre Palloni d'Oro conquistati in appena cinque stagioni e mezza in maglia rossonera.
Per moltissimi difensori del nostro campionato Van Basten rappresentò un enigma irrisolvibile, un avversario impossibile da marcare. Possente fisicamente, e al tempo stesso delicato e raffinato tecnicamente, in campo a volte assomigliava ad un ballerino per le movenze felpate, e a queste doti abbinava una precisione ed una rapidità incredibile nel finalizzare ogni giocata, oltre ad un istinto spietato davanti alla porta. Presto tutto il mondo iniziò a conoscere il suo enorme talento, e il suo apice lo raggiunse nel memorabile Campionato Europeo del 1988, in cui i suoi gol trascinarono l'Olanda alla sua prima e tuttora unica affermazione a livello continentale. Memorabile, in questo senso, la rete del 2-0 nella finale contro l'Unione Sovietica, una delle più belle di sempre nella storia del calcio: un destro al volo, spettacolare e preciso, dal lato esterno dell'area di rigore, un gesto tecnico impensabile per un giocatore "normale", che ancora oggi sembra una poesia ogni volta che viene riproposto.
Una perfetta macchina da gol, insomma, se non fosse stato per quella maledetta caviglia, autentico punto debole del gigante olandese. Già reduce da due infortuni seri e ormai abituato a convivere con il dolore, nel dicembre del 1992 Van Basten decise di sottoporsi ad una operazione, con la speranza di risolvere finalmente il problema. Fu l'inizio del suo calvario, con un breve ed illusorio ritorno a fine stagione, una finale di Champions League persa con il Marsiglia e giocata nonostante il dolore ancora molto forte, quindi un nuovo ritorno sotto i ferri e la lunga, disperata rincorsa ad una forma che ormai sembrava perduta. Lottò per due anni, senza più vedere il campo, e alla fine capì che non c'era più nulla da fare e gettò la spugna: la sua carriera finì ufficialmente nell'agosto del 1995, quando aveva trent'anni, ma realmente si era conclusa due anni prima, con quella sfortunata finale di Champions League.
Dopo alcuni anni Van Basten ha cercato di ripercorrere, da allenatore, gli stessi successi ottenuti da giocatore, sia come allenatore di club che in Nazionale, ma i risultati sono stati altalenanti e non sempre positivi, ben distanti da quelli ottenuti sul campo. Anche per questo, noi nostalgici e amanti di questo sport continuiamo a ricordarlo per quel fenomeno che era con il pallone tra i piedi, quando faceva impazzire i difensori avversari e segnava tanti, bellissimi gol, in quella che è stata una carriera breve e folgorante, unica nel suo genere, per un uomo che si è sempre definito "un giocatore normale, che ogni tanto fa cose normale". Tanti auguri Marco, e grazie di tutto.

giovedì 17 luglio 2014

IL CUORE E L'AZIENDA

Immagine tratta da tuttosport.com e modificata su befunky.com
In 24 ore si capovolge tutto. Da Conte a Max Allegri. Video su YouTube, conferenza stampa, primo allenamento. E via alla stagione della Juventus. Con Allegri.
E' un risveglio brusco quello dei tifosi della Vecchia Signora, ancora increduli per tempistiche e modalità d'addio del loro condottiero. Vaghe frasi quelle pronunciate da Conte, "sensazioni", "stimoli", niente di sufficientemente chiaro. Niente che potesse tramutare la conferma di metà maggio, nell'addio di mezzo luglio.
Ora Allegri. Max l'"aziendalista". Quello che restò al Milan dopo un 1° e un 2° posto, nonostante avesse perso tra cessioni milionarie, ritiri e svincoli improvvidi i vari Nesta, Thiago Silva, Zambrotta, Aquilani, Gattuso, Seedorf, Van Bommel, Cassano, Ibra, Inzaghi, Pato. Quello che non abbandonò la nave dopo che il Presidentissimo Silvio lo apostrofò con un simpatico "No el capisse un ca***", e galleggiò con uno spogliatoio in rivolta negli anni.
Max non chiede di blindare i suoi campioni, non chiede la Luna in fase di mercato. Fa il sarto con la stoffa che ha in casa. Ha i suoi punti di forza e i suoi contro.
Spesso ha inventato ruoli, come Boateng o Nocerino sulla trequarti, e ha lanciato per mezza stagione stellare El Shaarawy. Ha campato un girone intero con Niang titolare. Ha battuto pure 2-0 il Barcellona di Guardiola in Champions. L'arrivo di Balotelli ha coinciso con il suo definitivo tramonto al Milan, tattico e gestionale-professionale. Da quando SuperMario ha calcato i campi di Milanello, addio bel gioco. L' ingombrante presenza del suo classico equivoco tattico, ha mandato a monte qualsiasi idea di gioco (si cerchi negli annales una squadra che riesce a sviluppare un bel gioco d'attacco con Balotelli in campo).
Prima e dopo di lui al Milan solo gente che non aveva mai allenato (Leonardo, Seedorf, Inzaghi).
Il contro maggiore di Allegri è stato il rapporto, pessimo e conflittuale, con i Grandi Vecchi dello spogliatoio rossonero, più volte emerso in libri, interviste e dichiarazioni ufficiali e ufficiose. Che nell'estate 2012 abbandonarono il Diavolo in massa. Gli stessi con cui, però, vinse anche uno Scudetto all'esordio.
Max è chiara espressione dell'azienda Juventus. Di gestori (Agnelli e Marotta) che cercavano un profilo non troppo esigente, diverso da Conte, che non creasse troppe aspettative nei tifosi e che fosse un tassello, una costola filo-dirigenziale. Non deve piacere a tutti, ma vincere.
Conte era il cuore bianconero, era quello che si schierava strenuamente contro le cessioni dei suoi gioielli, quello che voleva sempre alzare l'asticella della competizione, quello che lo Scudetto non bastava, quello dei 102 punti. Quello che in questa lista della spesa per cambiare modulo in un 4-3-3 aveva inserito nomi come DiMaria, Sanchez, Iturbe.
Max è quello che quando arriva fa aprire i giornali su Candreva, Savic, Astori e Pastore, tanto per intenderci. 

lunedì 12 maggio 2014

MILAN CRISIS

Immagine tratta da goal.com
La rete della domenica di Brienza, a tempo bell'e scaduto, è forse la fotografia migliore della stagione tutt'altro che fortunata vissuta dal Milan, che si avvia a concludersi in modo molto deludente. La sconfitta di Bergamo è lo specchio fedele di un'annata nata male e mai raddrizzata completamente, neanche con il cambio di allenatore e i rinforzi di gennaio. Del resto, già la rimonta Champions dello scorso campionato era sembrata un miracolo, sperare di bissarla ancora era pura utopia.
I problemi dei rossoneri, l'avevamo già detto in passato, erano nati in estate, con un mercato poco convincente, e soprattutto un'intesa sempre meno salda tra allenatore e società, che in alcuni momenti sembravano davvero andare in direzioni opposte. Hanno pesato due addii illustri, uno per la parte tattica, l'altro per quella emotiva, non meno trascurabile: parliamo della cessione di Boateng e della rinuncia al rinnovo di Ambrosini. Il primo, ancora giovane e molto dotato tecnicamente, resta uno dei migliori centrocampisti milanisti degli ultimi anni, è stato fondamentale per lo scudetto e ha rappresentato più di ogni altro l'idea del giocatore voluto da Allegri, un mix di estro, tecnica e incisività. Il vecchio Ambro, seppur in calo evidente e bersagliato ancora dagli infortuni che hanno fatto sempre parte della sua carriera, era l'ultimo vero simbolo del glorioso spogliatoio del passato, di quel nucleo storico e indomabile che riusciva a superare anche i momenti più difficili e rinascere dalle sue ceneri; la sua assenza in gruppo ha pesato più di quanto si possa pensare, perché nei momenti decisivi la presenza di un leader come lui sarebbe stata necessaria per tenere unita la squadra e guidarla nella stessa direzione. Al contempo, la campagna acquisti ha lasciato molti dubbi, con la difesa rimasta praticamente inalterata, il centrocampo rimpolpato dal solo Poli (una delle note più liete, a conti fatti), e un attacco che con il ritorno di Kakà e l'acquisto di Matri, forse l'unico vero giocatore voluto da Allegri nonostante il pessimo rendimento, ha avuto problemi di sovrabbondanza senza per questo dare garanzie di affidabilità.
Nella bufera scatenata dal pessimo inizio di campionato, l'anno scorso era emersa con prepotenza la cresta di El Shaarawy a indicare una possibile soluzione, anche tattica, ad un Allegri in difficoltà e a dare in qualche modo il via alla risalita in campionato. Stavolta, anche complici i continui infortuni del giovane Faraone, nessun eroe a sorpresa si è offerto come scudo e sostegno all'allenatore, con Balotelli molto al di sotto delle attese e il solo Kakà, pure impeccabile per impegno e amore della maglia, insufficiente al suo attuale livello per cambiare le cose. Con la crescita esponenziale delle dirette concorrenti, Roma e Napoli su tutte, per questo Milan non c'è stata davvero speranza. Il mercato di gennaio ha messo qualche pezza ai tanti buchi del gruppo, in particolare Rami e Taarabt hanno dato qualcosa in più alla squadra, ma al contempo sono arrivati oggetti misteriosi come Honda e Essien, fantasmi abulici e fuori luogo rispetto ai campioni che erano apparsi in passato. La soluzione logica ed estrema per uscire dalla crisi, ad un certo punto, è stato l'addio ad Allegri, con il ricorso ad una vecchia gloria come Seedorf, che dalla sua non ha però l'esperienza (e sicuramente non ha avuto il giusto sostegno) per rimettere insieme i cocci di un vaso andato in troppi frantumi. Lui ci ha sicuramente messo del suo, ma la verità è un'altra: al Milan mancano le certezze a partire dalla società, che mai come adesso appare con pochissime idee per il futuro. Il dualismo Galliani-Barbara Berlusconi, l'addio ad Ariedo Braida, le troppe esternazioni negative del patron Berlusconi e dello stesso Galliani, sono tutte cose mai viste fino ad ora in casa rossonera.
Ora che l'Europa è appesa ad un filo più che sottile, con un sesto posto che porterebbe soldi ma costringerebbe il Milan a iniziare l'anno prestissimo e a partecipare ad un'Europa League che, in realtà, quasi nessuno vuole, bisogna davvero ripartire da 0 e cercare di ricostruire il più possibile dalle macerie di questo disastro. Kakà può essere il nuovo leader emotivo, più di un Montolivo che non convince come capitano, gente come i Constant o i Robinho devono essere mandati a casa, forse anche il sacrificio di un Balotelli mai davvero amato può essere necessario per ricostruire la rosa e portare in casa gli uomini giusti per ripartire. Ma la prima mossa dev'essere quella relativa al tecnico: si tratti di Montella, Spalletti, Inzaghi o dello stesso Seedorf, conterà soprattutto l'appoggio incondizionato della società, nelle scelte di mercato come in quelle tattiche. I cicli possono terminare e ricominciare in pochissimo tempo, il calcio italiano è pieno di esempi in questo senso, non ultimo la Juve tricampione d'Italia e sonoramente sbeffeggiata appena tre estati fa. Ci vorranno pazienza e idee chiare, ma soprattutto ci vorrano lo spirito di sacrificio, la pazienza e la volontà che hanno reso il Milan una delle squadre più importanti d'Italia e del Mondo.

lunedì 11 giugno 2012

Adieu gran Milàn


Adieu Thiago Silva.
Il difensore brasiliano ad un passo dal PSG. Al Milan 50 milioni di euro. Al giocatore 9.
È la notizia del giorno.
foto tratta da sportemotori.blogosfere.it
Il condizionale è però d’obbligo, dopo l’affaire Pato, saltato all’ultimo secondo a Gennaio, sempre sull’asse Parigi-Milano.
Si concluderebbe l’affare del terzo millennio, perché la squadra più titolata al mondo andrebbe a vendere il difensore più forte del mondo alla squadra che vorrebbe diventare la più forte, per una cifra astronomica, soprattutto per un difensore.
Adieu al Milan che non vendeva i suoi campioni.
Nel giro di pochi anni vende prima Kakà al Real Madrid, regala Pirlo alla Juve e poi quasi vende Pato al Manchester degli sceicchi.
Adieu al Milan degli invincibili, alla conquista dell’Italia, dell’Europa e del mondo. Dei campioni che rincorrevano il sogno di vestire la maglia rossonera.
Adieu al Dio denaro della famiglia Berlusconi.
Il modo di accaparrarsi giocatori negli anni 80 e 90 sperperando miliardi, come un boomerang, ora, li costringe a cedere ai petroldollari.
Gran Milàn, frase del milanese doc, ad indicare la grandezza della capitale economica dell’Italia, nonostante la nebbia.
Nebbia che ora scende fitta su Milanello, prossimo orfano del vero fenomeno della squadra, dopo gli addii illustri di fine campionato. Sulla testa di Galliani, costretto a parare i malumori del tifo milanista, degli altri big delle squadra ed ad inventarsi un mercato che nonostante questa copiosa entrata, sarà povero di euro.
Alla fine vincono i soldi, quelli illimitati degli sceicchi contro quelli che il Milan di Berlusconi non vuole più spendere-perdere.