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lunedì 19 maggio 2014

TIRIAMO LE SOMME - PUNTATA FINALE

Immagine tratta da nerazzurriworld.com
Ora che anche l'ultimo verdetto, ovvero l'assegnazione del sesto posto con conseguente ultimo pass per l'Europa, è stato emesso, possiamo cimentarci nel dare il voto finale a questa Serie A 2013-14 e a tutte le sue protagoniste.
LA STAGIONE: Oltre che per i record della Juve e la grande annata di Roma e Napoli, questa Serie A 2013-14 sarà ricordata come la prima che non porta squadre di Milano in Champions dopo 13 anni. Livello medio migliore dello scorso anno, ma resta il problema degli stadi e l'impressione che le altre leghe europee siano ancora troppo distanti da noi. Voto finale 7.

ATALANTA: Dopo l'inizio altalenante, un girone di ritorno alla grande, sfiorando perfino il sogno Europa. Terza salvezza consecutiva mai in discussione per Colantuono e i suoi, a modo suo anche la Dea ha vinto per tre volte di fila il suo personalissimo scudetto. Voto 6,5.
BOLOGNA: La cessione di Diamanti è stata la cessione definitiva per un organico debole e addirittura peggiorato dopo gennaio. Solo 8 gol dalla partenza di Alino, la retrocessione è più che meritata, ora toccherà raccogliere i cocci per cercare di ricostruire qualcosa di buono. Voto 4,5.
CAGLIARI: Stagione senza infamia e senza lode, nonostante l'addio ad Agazzi e Nainggolan e la solita querelle stadio i sardi si guadagnano la permanenza in A con un torneo tutto sommato regolare. L'anno prossimo, senza il presidentissimo Cellino, è ancora tutto da pianificare. Voto 6.
CATANIA: Dal sogno europeo sfiorato ad una retrocessione meritata. La squadra etnea ha reagito tardi per sperare di recuperare una classifica difficile, con un ruolino esterno da brividi (appena 5 punti su 57). La speranza è di tenere i migliori e ripartire subito alla grande, seguendo l'esempio dei "cugini" palermitani. Voto 5.
CHIEVOVERONA: Pur tra mille difficoltà, i clivensi anche quest'anno strappano il pass per restare tra i migliori, soffrendo più del passato e rischiando fino alla fine. Occorreranno un po' di qualità e gioventù per migliorare un gruppo che sembra ormai aver dato tutto. Voto 5,5.
FIORENTINA: Esistesse un premio alla sfortuna, i viola lo meriterebbero a pieni voti. Se i tuoi attaccanti di punta, Rossi e Gomez, passano più tempo infortunati che in campo, arrivare quarti è già un ottimo risultato. Occorrerà tenere Cuadrado, vero fiore all'occhiello di quest'annata. Voto 7.
GENOA: Il cavallo di ritorno Gasperini e i gol di Gilardino hanno regalato una stagione finalmente tranquilla ai genoani dopo i patemi dello scorso anno. Se Preziosi non farà la sua solita rivoluzione estiva, ci saranno buone basi da cui ripartire a settembre. Voto 6,5.
INTER: Partenza sprint, rallentamento a metà anno e conclusione incerta di stagione, almeno l'obiettivo europeo per Mazzarri è stato centrato. Con il saluto agli ultimi eroi del "triplete" si riparte quasi da 0, ci vorrà un mercato all'altezza per migliorarsi il prossimo anno. Voto 6,5.
JUVENTUS: 102 punti in classifica, 19 vittorie su 19 in casa, miglior attacco e miglior difesa, 17 punti di vantaggio sulla seconda. Possono bastare i numeri per far capire che stagione è stata per Conte e i suoi. L'estate porterà chiarezza sulla permanenza del tecnico e i cambiamenti in rosa, ma quest'annata resterà per sempre nei libri di storia del calcio italiano. Voto 9,5.
LAZIO: Neanche il passaggio di consegna da Petkovic a Reja ha salvato i biancolesti da una stagione brutta e incolore. Candreva è la nota lieta dopo l'addio ad Hernanes, il giovane Keita può essere l'investimento futuro visto il calo di Klose, ma ci vorrà un mercato di livello. Voto 5,5.
LIVORNO: Dopo qualche illusione iniziale, il mesto ritorno alla realtà, con un ultimo posto che rispecchia il livello di una rosa inadatta alla categoria. Paulinho è stata l'unica vera nota lieta, la sua cessione può essere fondamentale per ricostruire il gruppo e cercare una pronta risalita. Voto 5.
MILAN: Dopo 15 anni, i rossoneri saranno costretti a guardare l'Europa dalla TV. Risultato inevitabile alla luce di una stagione contraddittoria e difficile di cui si è già detto e scritto tanto, anche troppo. La palla adesso passa alla società, che deve dare un segnale per avviare la rinascita e cancellare presto questo torneo dalla memoria. Voto 4,5.
NAPOLI: Contro questa Juve il sogno scudetto è apparso presto un miraggio, tuttavia qualcosa in più ci si poteva aspettare da una rosa migliorata molto e decisamente qualitativa. La Coppa Italia corona una stagione comunque importante e positiva, ora a Benitez si chiede di coronare quel sogno scudetto a lungo inseguito. Voto 7,5.
PARMA: Dopo otto anni, i ducali riassaporeranno il gusto dell'Europa, seppur partendo prestissimo con i preliminari. Cassano, Parolo e Paletta sono stati i migliori nei vari ruoli in campo, ma il merito di questo risultato va soprattutto a un tecnico come Donadoni, rivalutato dopo qualche insuccesso di troppo. Voto 7.
ROMA: Tenere vivo un campionato così è il merito maggiore dei giallorossi, che hanno giocato un gran calcio risorgendo dalle ceneri di due stagioni disgraziate. Garcia ha portato idee, convinzione e un mercato mirato e preciso nelle scelte. La Champions costringerà a rinforzare la rosa, ma le premesse per migliorare ancora e arrivare al successo ci sono tutte. Voto 8,5.
SAMPDORIA: Il condottiero Mihajlovic ha dato una scossa ad un gruppo abulico e poco sereno, ottenendo un piazzamento tranquillo in classifica. La permanenza del serbo sarà la chiave per un gruppo con giovani interessanti ma che necessita di rinforzi per ambire a traguardi migliori. Voto 6.
SASSUOLO: Non è sbagliato dire che, senza la sciagurata parentesi Malesani, la salvezze sarebbe potuta arrivare prima. Dopo il disastroso avvio di campionato, la squadra ha reagito benissimo e si è meritata la permanenza nella massima serie, con i giovani Berardi, Zaza e Sansone sugli scudi. Voto 6.
TORINO: La beffa del rigore fallito da Cerci nel recupero dell'ultima giornata non cancella una grande stagione, con i granata splendidi protagonisti. Immobile, capocannoniere, e lo stesso Cerci hanno esaltato al massimo il modulo di Ventura, se resteranno entrambi il sogno Europa potrà continuare anche l'anno prossimo. Voto 7.
UDINESE: Niente Europa stavolta per i ragazzi di Guidolin, che per una volta disputano un campionato normale senza particolari talenti messi in mostra. A parte uno forse, quel Di Natale che a 37 anni sa ancora regalare magie. Voto 6.
VERONA: Una neopromossa che sfiora l'Europa non si vede tutti i giorni. Onore ai ragazzi di Mandorlini, calati nel girone di ritorno ma che meritano solo applausi per quanto mostrato. Toni a Verona ha vissuto una seconda giovinezza, è lui il punto fermo da cui ripartire. Voto 7.

lunedì 12 maggio 2014

MILAN CRISIS

Immagine tratta da goal.com
La rete della domenica di Brienza, a tempo bell'e scaduto, è forse la fotografia migliore della stagione tutt'altro che fortunata vissuta dal Milan, che si avvia a concludersi in modo molto deludente. La sconfitta di Bergamo è lo specchio fedele di un'annata nata male e mai raddrizzata completamente, neanche con il cambio di allenatore e i rinforzi di gennaio. Del resto, già la rimonta Champions dello scorso campionato era sembrata un miracolo, sperare di bissarla ancora era pura utopia.
I problemi dei rossoneri, l'avevamo già detto in passato, erano nati in estate, con un mercato poco convincente, e soprattutto un'intesa sempre meno salda tra allenatore e società, che in alcuni momenti sembravano davvero andare in direzioni opposte. Hanno pesato due addii illustri, uno per la parte tattica, l'altro per quella emotiva, non meno trascurabile: parliamo della cessione di Boateng e della rinuncia al rinnovo di Ambrosini. Il primo, ancora giovane e molto dotato tecnicamente, resta uno dei migliori centrocampisti milanisti degli ultimi anni, è stato fondamentale per lo scudetto e ha rappresentato più di ogni altro l'idea del giocatore voluto da Allegri, un mix di estro, tecnica e incisività. Il vecchio Ambro, seppur in calo evidente e bersagliato ancora dagli infortuni che hanno fatto sempre parte della sua carriera, era l'ultimo vero simbolo del glorioso spogliatoio del passato, di quel nucleo storico e indomabile che riusciva a superare anche i momenti più difficili e rinascere dalle sue ceneri; la sua assenza in gruppo ha pesato più di quanto si possa pensare, perché nei momenti decisivi la presenza di un leader come lui sarebbe stata necessaria per tenere unita la squadra e guidarla nella stessa direzione. Al contempo, la campagna acquisti ha lasciato molti dubbi, con la difesa rimasta praticamente inalterata, il centrocampo rimpolpato dal solo Poli (una delle note più liete, a conti fatti), e un attacco che con il ritorno di Kakà e l'acquisto di Matri, forse l'unico vero giocatore voluto da Allegri nonostante il pessimo rendimento, ha avuto problemi di sovrabbondanza senza per questo dare garanzie di affidabilità.
Nella bufera scatenata dal pessimo inizio di campionato, l'anno scorso era emersa con prepotenza la cresta di El Shaarawy a indicare una possibile soluzione, anche tattica, ad un Allegri in difficoltà e a dare in qualche modo il via alla risalita in campionato. Stavolta, anche complici i continui infortuni del giovane Faraone, nessun eroe a sorpresa si è offerto come scudo e sostegno all'allenatore, con Balotelli molto al di sotto delle attese e il solo Kakà, pure impeccabile per impegno e amore della maglia, insufficiente al suo attuale livello per cambiare le cose. Con la crescita esponenziale delle dirette concorrenti, Roma e Napoli su tutte, per questo Milan non c'è stata davvero speranza. Il mercato di gennaio ha messo qualche pezza ai tanti buchi del gruppo, in particolare Rami e Taarabt hanno dato qualcosa in più alla squadra, ma al contempo sono arrivati oggetti misteriosi come Honda e Essien, fantasmi abulici e fuori luogo rispetto ai campioni che erano apparsi in passato. La soluzione logica ed estrema per uscire dalla crisi, ad un certo punto, è stato l'addio ad Allegri, con il ricorso ad una vecchia gloria come Seedorf, che dalla sua non ha però l'esperienza (e sicuramente non ha avuto il giusto sostegno) per rimettere insieme i cocci di un vaso andato in troppi frantumi. Lui ci ha sicuramente messo del suo, ma la verità è un'altra: al Milan mancano le certezze a partire dalla società, che mai come adesso appare con pochissime idee per il futuro. Il dualismo Galliani-Barbara Berlusconi, l'addio ad Ariedo Braida, le troppe esternazioni negative del patron Berlusconi e dello stesso Galliani, sono tutte cose mai viste fino ad ora in casa rossonera.
Ora che l'Europa è appesa ad un filo più che sottile, con un sesto posto che porterebbe soldi ma costringerebbe il Milan a iniziare l'anno prestissimo e a partecipare ad un'Europa League che, in realtà, quasi nessuno vuole, bisogna davvero ripartire da 0 e cercare di ricostruire il più possibile dalle macerie di questo disastro. Kakà può essere il nuovo leader emotivo, più di un Montolivo che non convince come capitano, gente come i Constant o i Robinho devono essere mandati a casa, forse anche il sacrificio di un Balotelli mai davvero amato può essere necessario per ricostruire la rosa e portare in casa gli uomini giusti per ripartire. Ma la prima mossa dev'essere quella relativa al tecnico: si tratti di Montella, Spalletti, Inzaghi o dello stesso Seedorf, conterà soprattutto l'appoggio incondizionato della società, nelle scelte di mercato come in quelle tattiche. I cicli possono terminare e ricominciare in pochissimo tempo, il calcio italiano è pieno di esempi in questo senso, non ultimo la Juve tricampione d'Italia e sonoramente sbeffeggiata appena tre estati fa. Ci vorranno pazienza e idee chiare, ma soprattutto ci vorrano lo spirito di sacrificio, la pazienza e la volontà che hanno reso il Milan una delle squadre più importanti d'Italia e del Mondo.

lunedì 28 aprile 2014

NOW, ONLY THE BEST!

Immagine tratta da gazzetta.it
Ora ci siamo davvero. Una sola vittoria, o in alternativa due pareggi, nelle ultime tre sfide di questo campionato 2013-14 e per la Juve lo Scudetto sarà aritmetico. Il giorno della festa potrebbe essere già lunedì 5 maggio, nella sfida interna contro l'Atalanta, o in alternativa domenica 4, nel caso in cui la Roma non uscisse con i 3 punti dal campo di Catania.
Nella sfida del Mapei Stadium, a Reggio Emilia, i bianconeri ci hanno messo un tempo e molta sofferenza per indirizzare la partita nella direzione giusta, ma alla fine sono state ancora una volta le giocate dei campioni ad avere la meglio sulla volontà e la grinta degli avversari. Zaza, una delle tante giovani promesse di proprietà juventina sparse in Italia, fa passare una brutta mezz'ora alla sua società di provenienza (aiutato da un Ogbonna forse alla peggior prestazione con la maglia della Signora). L'inizio è in pratica lo stesso della sfida di Lisbona contro il Benfica: gol incassato presto, squadra poco presente in campo, reazione tardiva e poco convinta. Poi arriva ancora lui, Carlitos Tevez, l'Apache, appena sbloccatosi dal lungo digiuno europeo, e la sua prodezza basta a riequilibrare il risultato e restituire certezze e sicurezze a un gruppo apparso decisamente in affanno. Nel secondo tempo, è ancora Tevez a propiziare il vantaggio, quando sporca un pallone con la sua proverbiale grinta, quindi ci pensa il sublime direttore d'orchestra Pirlo, con uno splendido tocco di prima, a mandare in porta Marchisio. A chiudere la pratica, l'invenzione di Pogba, il cross del subentrante Lichtsteiner e il tacco, inatteso, di Llorente, quasi assente fino a quel momento, ma ancora una volta spietato e decisivo quando si tratta di fare gol. 3-1 finale, con grande esultanza di squadra e staff sotto la curva dei tantissimi supporters bianconeri, e titolo che è praticamente ad un passo, da ratificare solo con l'ausilio della matematica.
Di fronte a tutte queste certezze in positivo, anche una in negativo: la Juve, almeno in questo finale di stagione, ha bisogno di tutti i suoi titolari, in ogni occasione. Isla e Ogbonna, scelti oggi per dare un po' di respiro a Lichtsteiner e Bonucci, sono stati tra i peggiori in campo, tant'è vero che entrambi sono stati richiamati in panchina. Pur giocando bene in diverse occasione quando chiamate in causa, le riserve stanno mancando in questo finale di stagione, avvalorando la tesi di chi considera la rosa bianconera ancora poco qualitativa e incompleta per il definitivo salto di qualità. A parte Marchisio, e un po' Caceres e Giovinco in questa fase dell'anno, tutti gli altri giocatori appaiono troppo distanti dal livello dei titolari per poter concedere a questi un reale riposo. Anche per questo l'ingresso in campo nel finale di Vidal è un'ottima notizia per il ritorno di giovedì contro i lusitani, visto che il centrocampo è stato il reparto che meno ha beneficiato del turnover dall'inizio dell'anno. Contro i portoghesi ci vorrà una gara diversa, perfetta e precisa in tutti gli aspetti, e stavolta non ci sarà spazio per il Vucinic della scorsa settimana o l'Ogbonna di questa sera. Ci vorrà insomma una Juve al suo massimo, pronta a dare tutto per 90 minuti e conquistarsi quella finale europea che manca da 12 anni. In attesa di lunedì prossimo, quando almeno lo Scudetto, forse, sarà in cassaforte.

martedì 15 aprile 2014

L'UOMO DECISIVO NEL MOMENTO DECISIVO

Immagine tratta da tuttosport.it
Da sempre lo accusano di non segnare gol importanti, di non riuscire mai ad essere decisivo. Magari dopo la partita di ieri a Udine molti dei suoi critici dovranno rimangiarsi quanto detto, o almeno frenare i loro commenti.
Sebastian Giovinco è semplicemente fondamentale nella vittoria bianconera, per il gol che sblocca il match e per tutte le giocate importanti che regala durante la partita, non facendo pesare l'assenza di Tevez. E' solo il secondo gol in campionato per la Formica Atomica, l'altro l'aveva segnato al Milan, ed anche in quel caso aveva sbloccato una situazione di parità. Se la meritava questa soddisfazione personale, anche per quanto fatto vedere contro il Lione, e sarà molto soddisfatto di lui anche mister Conte, che l'ha difeso quando i tifosi lo fischiavano e, pur tenendolo spesso fuori, non ha mai smesso di stimolarlo e di considerarlo importante. Giovinco non è quello che a Parma è stato grande protagonista per un paio di anni, e continua a mancare di quel salto di qualità per meritare il titolo di campione, ma si impegna sempre e in maniera costante, e quando è in fiducia e in condizione può regalare partite come quella di ieri.
L'altra firma sul 2-0 finale la mette un giocatore ugualmente contestato a inizio anno, considerato inutile e inadatto alla squadra, e adesso insostituibile la davanti: Fernando Llorente. In campionato lo spagnolo è arrivato a 14 centri, spesso decisivi, lui e l'Apache insieme hanno superato i 30 gol, una statistica degna dei migliori Del Piero e Trezeguet. A due riferimenti importanti in attacco, si aggiunge una difesa che nonostante il turnover continua a funzionare, con Caceres sempre più importante dietro a non far rimpiangere Barzagli, e una condizione fisica che è ormai in netto miglioramento. Il distacco dalla Roma resta invariato, ma quello che poteva essere il test più pericoloso prima della sfida diretta all'Olimpico è superato a pieni voti.
La Juve espugna d'autorità il Friuli e batte una squadra che, pur lontana anni luce da quella che per due anni di fila ha ottenuto i preliminari di Champions, veniva da una condizione strepitosa, soprattutto tra le mura amiche. Le vittorie in campionato sono 28, una in più dello scorso campionato, i punti conquistati 87, con quel traguardo dei 100 che non è un miraggio, calendario alla mano. La vicinanza al successo si è vista nell'atteggiamento di Conte, nervoso più del solito a inizio partita e letteralmente scatenato al fischio dell'arbitro, come se avesse vinto una finale. Forse perché questa partita gli ha ricordato un'altra vittoria, ugualmente dolce e importante, ottenuta proprio a Udine 12 anni prima. Era il 5 maggio del 2002, e quel giorno la Juventus strappò clamorosamente lo scudetto all'Inter. All'epoca era ancora in campo, ma oggi come allora riesce a distinguere perfettamente i successi che possono essere decisivi all'interno di una stagione. Quello di ieri può decisamente rivelarsi uno di questi.

lunedì 7 aprile 2014

PRESSIONE? NO, GRAZIE!

Immagine tratta da multimedia.quotidiano.net
Tre minuti per cancellare ogni timore e ogni incertezza. Tanto basta alla Juventus per avere la meglio sul Livorno, centrare la sedicesima vittoria in altrettante gare interne e ristabilire gli 8 punti di distanza tra sé e la Roma, con appena 6 giornate mancanti alla fine di questa serie A 2013-14. I dubbi sulla forma fisica, sulla tenuta atletica e sulla fame di vittorie del dopo Napoli svaniscono definitivamente, i bianconeri non hanno ancora alzato le mani dal manubrio, e anzi sembrano sempre più decisi a dare la caccia a questo bis Scudetto-Europa League che porterebbe grande prestigio e soddisfazione a Torino.
Il Livorno poteva essere un avversario insidioso perché, come tutte le piccole, se sottovalutato può giocare brutti scherzi, tant'è vero che Conte mette in campo i migliori a disposizione. Ma a parte alcune ripartenze veloci in contropiede, soprattutto a inizio partita, i toscani preferiscono chiudersi in difesa e reggere il più possibile l'assalto bianconero, consegnando di fatto gioco e ritmo ai padroni di casa. Il forcing juventino dura mezz'ora circa, quanto basta ad un ritrovato Llorente per piazzare il micidiale uno-due che indirizza la sfida e di fatto la chiude con un tempo ancora da giocare. I livornesi stessi alzano bandiera bianca e preferiscono amministrare le forze in vista di sfide decisamente più importanti come quella contro il Chievo del prossimo turno, la Vecchia Signora ringrazia e chiude al piccolo trotto. Energie risparmiate in vista del ritorno con il Lione e della prossima trasferta di Udine, forse l'unica partita davvero insidiosa prima dello scontro diretto a Roma della penultima giornata, che di fatto rischia di rivelarsi inutile.
Di fatto, la Juventus è pienamente padrona del suo destino, con quattro delle prossime sei sfide più che abbordabili, le tre interne contro Bologna, Atalanta e Cagliari e la penultima trasferta a Reggio Emilia contro il Sassuolo. Si tratta di formazioni che hanno ancora un obiettivo da raggiungere (l'Europa i bergamaschi, la salvezza tutte le altre), ma fanno sicuramente meno paura di squadre con maggior blasone. Di contro, la Roma avrà un'impegnativa trasferta a Firenze contro una viola in piena corsa per mantenere il quarto posto, e subito dopo ospiterà un Milan desideroso di riscatto, e pure lui a caccia di punti europei. I giallorossi sono chiamati insomma ad un'autentica impresa, vincere tutte le sfide (compreso lo scontro diretto) e sperare che i bianconeri perdano per strada 8 punti. Al di là dei freddi dati statistici, a far pensare che quest'impresa sia, se non impossibile, almeno disperata, sono gli evidenti segnali di ripresa fisica della Juve, con il lento recupero di alcuni infortunati che può consentire maggiori rotazioni in difesa e in attacco. L'1-0 di Lione, sofferto più del previsto ma estremamente prezioso, ha ridato fiducia e mostrato che la condizione dei Campioni d'Italia è in netto miglioramento. La presunta pressione che la Juve poteva sentire non si è mostrata, il margine di sicurezza è talmente ampio che neanche una sconfitta brutta come quella di Napoli ha scalfito la convinzione dei bianconeri. Il terzo Scudetto consecutivo è sempre più vicino, il trionfo in Europa League può essere il premio aggiuntivo ad una grande stagione, fatta di record incredibili, difficilmente ripetibili in futuro. In attesa di quella Champions che resta il sogno, lontano ma non impossibile, di ogni tifoso bianconero.

lunedì 31 marzo 2014

POCHE GAMBE, ZERO GRINTA

Immagine tratta da gazzetta.it
Alla fine, la sconfitta è arrivata. Oltre un girone dopo, su un campo ostico e ostile, e con un vantaggio in classifica che permette di non preoccuparsi più di tanto. Ma è arrivata, ed è stata alla fine dei conti meritata e ineccepibile.
Al San Paolo di Napoli, la Juventus ha ufficialmente confermato il suo netto calo di rendimento e di tenuta atletica, mostrando limiti che qualche piccola preoccupazione devono destare in vista di questo finale di stagione. La squadra ha sofferto tremendamente contro un avversario che correva il doppio, pressava sempre e dovunque e in generale è apparso più affamato e più desideroso di vincere. L'assenza di Tevez è stata molto più pesante del previsto per l'attacco bianconero, con Llorente che ha evidente bisogno di tirare il fiato e Osvaldo vivace ma poco concreto. I veri segnali di debolezza sono arrivati però a centrocampo, con i tre interni incapaci di fare la differenza e di inventare una singola giocata importante e gli esterni, in particolare Asamoah, in sofferenza sui tagli e le accelerazioni improvvise degli avversari. Bisogna anche dire grazie a Gigi Buffon, più che mai in stato di grazia in questo periodo, autore di un paio di interventi davvero da applausi, decisivi per mantenere in equilibrio il punteggio più di quanto non abbia detto il campo.
Si era capito dall'inizio della partita che le premesse non erano buone, la rilassatezza e le sofferenze di fronte al pressing e alle ripartenze immediate dell'avversario ricordavano sinistramente il Quarto di Coppa Italia a Roma. Nell'ultimo mese, la Juve aveva già mostrato qualche segnale di calo, almeno per quanto riguarda la forma fisica ed il rendimento in campo. Sono arrivate vittorie importanti, seppur di misura, ma sempre soffrendo tremendamente e riuscendo ad avere la meglio grazie alla giocata del campione o con un po' di fortuna, o con entrambe le due cose. Contro Milan, Fiorentina, Genoa e Parma è andata bene, contro questo Napoli in versione monstre decisamente no. I partenopei, va detto, hanno fatto la gara della vita, una delle migliori da molti mesi a questa parte, e se anche si può discutere sul millimetrico fuorigioco di Callejon sul gol del vantaggio non si può negare che il loro successo è stato meritatissimo. Va anche aggiunto che un calo ci sta e che il ritmo imposto dai bianconeri a questo campionato (solo 9 punti persi in tutto il campionato per stasera) porta inevitabilmente a periodi in cui è necessario tirare maggiormente il fiato. Ciò detto, è difficile ricordare una Juve così molle ed incapace di mostrare una vera reazione in tutta la partita, se si eccettuano un maggior possesso palla e il baricentro più alto nel secondo tempo. Anche Conte ha lasciato un po' perplessi con i suoi cambi, visto che Pogba e Osvaldo non avevano certo giocato la loro miglior partita, ma Vidal e Llorente sembravano molto più meritevoli di una sostituzione.
Forse è il caso per un po' di dimenticare i tanti elogi ricevuti, i record possibili o già ottenuti e questi famosi 100 punti da conquistare, e tornare a concentrarsi seriamente su questi ultimi due mesi che concluderanno la stagione. Non c'è molto tempo per rifiatare e riordinare le idee, giovedì si va a Lione a giocarsi un importantissimo Quarto di Finale di Europa League. La Juve ha sempre tirato fuori il carattere dopo una brutta sconfitta, dimostrando che si trattava solo di un incidente di percorso e riprendendo la sua marcia verso il successo. Vedremo se anche in questo caso sarà così.

domenica 16 marzo 2014

DETTAGLI E COLPI DA CAMPIONE

Immagine tratta da gazzetta.it
Ci sono partite, nell'arco di una stagione, che possono essere considerate fondamentali nella corsa al titolo o alla salvezza di una squadra. Quella di stasera tra Genoa e Juventus, se non consegna di fatto lo Scudetto alla compagine bianconera, può sicuramente lasciare il segno su questo campionato di serie A. Perché nel momento di massima difficoltà, contro un'avversaria in grado di metterla in difficoltà come poche negli ultimi anni, la Vecchia Signora esce ancora una volta dal campo con in tasca 3 punti pesantissimi, per certi versi immeritati, ma forse decisivi.
Niente turnover, nonostante la terza sfida con la Fiorentina alle porte, anche perché le assenze impediscono una ruotazione degli uomini. Particolarmente decimato l'attacco, con Giovinco e Tevez che si uniscono all'ormai perennemente infortunato Vucinic, ma anche centrocampo e difesa sono rattoppati, perché Marchisio non recupera dal problema accusato in Coppa, e nel riscaldamento anche Barzagli da forfait. Niente riposo dunque per Chiellini e Pogba, con la strana coppia Llorente-Osvaldo davanti alla ricerca del gol. Il Genoa di contro è un osso duro, durissimo, gioca sulle ali dell'entusiasmo e corre per 90 minuti, mettendo più volte in difficoltà i bianconeri proprio con il ritmo alto, che dovrebbe essere uno dei suoi pezzi forti. Per una volta è la Juve a dover puntare sulle ripartenze, con Osvaldo che per due volte si vede annullare un gol per fuorigioco (corretta la prima segnalazione, errata anche se difficile la seconda). I rossoblu reclamano a loro volta per un contatto tra Lichtsteiner e Bertolacci, ma in generale controllano la partita, sono aggressivi e pur senza tirare in maniera davvero pericolosa in porta fanno sudare sette camicie alla Juve. E chi si aspetta un calo del Genoa nel secondo tempo rimane sorpreso, perché al contrario i liguri sembrano ancora freschissimi, mentre è la Juve a mostrare limiti di condizione e un appannamento visto raramente. 
E' in questo scenario, nel momento di massima difficoltà, che si ergono a grandi protagonisti i due giocatori più esperti tra i Campioni d'Italia, i due veri riferimenti per carisma e qualità: Gianluigi Buffon e Andrea Pirlo. Il portiere, che oggi raggiunge il mito Zoff nella lista dei presenti all-time con la maglia bianconera, è decisivo prima quando respinge il tiro di Bertolacci da distanza ravvicinata, e soprattutto quando para il rigore di Calaiò (fallo di mano di Vidal, oggi uno dei peggiori), mantenendo il punteggio sullo 0-0. Il secondo, pressato per tutta la gara Matuzalem e non molto incisivo, da un saggio della sua classe disegnando su punizione la parabola che al minuto 89 regala la vittoria e 3 punti fondamentali alla squadra di Conte.
Se anche in una partita così, che ha rischiato seriamente di perdere e in cui un pareggio sembrava già ottimo, la Juve riesce a tornare a casa con tre punti, allora il destino di questo campionato appare sempre più scritto. A completare il quadro, va sottolineato che a conquistarsi la punizione decisiva è stato Fabio Quagliarella, che sta vivendo la stagione più difficile da quando è a Torino, che ha giocato davvero pochissimo e negli ultimi due mesi non aveva praticamente visto il campo. Un dettaglio, anche questo, che come i precedenti fa la differenza.

domenica 9 marzo 2014

TANTO C'HA RAGIONE CHI FA GOL...

Immagine tratta da calciomercato.com
A voler sintetizzare quello che si è visto questa mattina tra Juventus e Fiorentina, si potrebbe semplicemente ricordare questo motivetto simbolo di un programma sportivo di fine anni '90: alla fine, è sempre chi fa gol ad aver ragione. Il gol (e che gol) l'ha segnato Asamoah, pur con l'aiuto di una deviazione, a coronamento di una grande azione personale e di un primo tempo che ha visto prevalere nettamente i bianconeri. Non altrettanto hanno fatto, dall'altra parte, Mario Gomez e soprattutto Ryder Matos, entrambi imprecisi di testa nelle due occasioni da rete più nitide per la formazione viola. Il tedesco ha mandato clamorosamente fuori da buona posizione e senza marcatura, il brasiliano ha fatto anche peggio colpendo la traversa a pochi centimetri dalla porta, ad una manciata di minuti dalla fine.
Va detto che tutto sommato un pareggio sarebbe stato forse il risultato più giusto per questa che è stata la prima di tre sfide tra torinesi e toscani, visto anche il doppio impegno negli Ottavi di Europa League. La Fiorentina ha riscattato un primo tempo brutto e poco incisivo con un forcing finale da squadra matura e tenace, come vuole il suo allenatore, costringendo la Juve a coprirsi e rinunciare ad una punta pur di mantenere il risultato. Gli eroi dell'incredibile rimonta dell'andata (da 0-2 a 4-2 in un quarto d'ora) non sono in campo, Joaquin è malinconicamente in panchina, Pepito Rossi è ko da un paio di mesi, alla loro assenza si aggiunge anche quella pesante di Borja Valero, squalificato. A fare la differenza in negativo però è la giornata storta della linea mediana, con Pizarro che soffre terribilmente il pressing delle punte avversarie e perde palloni sanguinosi, Aquilani altrettanto impreciso e Anderson in ritardo di condizione e in debito di ossigeno già a fine primo tempo. La sfortuna ci ha sicuramente messo lo zampino, ma la reazione rimane troppo tardiva, perché regalare un tempo ad un'avversaria come la Juve è un lusso che a questi livelli non ci si può permettere.
I bianconeri centrano il quattordicesimo successo consecutivo in casa, un record che eguaglia quello del Torino del '76, che pareggiò solo l'ultima gara interna. In una giornata in cui Tevez e Llorente brillano poco, Pogba gioca una sfida "normale" e Vidal risulta troppo impreciso, basta la giocata di Asamoah, il migliore dei suoi con Marchisio (sempre più a suo agio nel ruolo "alla Pirlo"), a regalare tre punti preziosissimi alla capolista, sempre più in fuga verso il terzo scudetto consecutivo. Come domenica scorsa contro il Milan, la Juve si dimostra una volta di più pratica e spietata nello sfruttare le occasioni che le vengono concesse e a trasformarle in oro. Lo Scudetto, per ammissione dello stesso Conte, è al 50% cucito sul petto dei bianconeri, ora la vera sfida è la scalata all'Europa, a cominciare proprio dal doppio confronto con i viola. Perché vincere e scrivere nuovi record in Italia è una gran cosa, ma tornare ad alzare un trofeo internazionale può valere molto di più.

domenica 23 febbraio 2014

UN LAMPO TRA MILLE POLEMICHE

Immagine tratta da attual.it
Il match: Sotto la Mole si disputa l'attesissimo derby tra Juventus e Torino, una sfida da sempre carica di tanti significati e ricca di sorprese nella storia della serie A. I granata, che non segnano in una stracittadina dal 2002 e non vincono addirittura dal 1995, propongono l'ormai consueto 3-5-2, con Bovo preferito in difesa a Maksimovic e Masiello fuori all'ultimo per un problema fisico, sostituito da Pasquale. Davanti agisce la coppia Cerci-Immobile, osservata speciale oggi del c.t. azzurro Cesare Prandelli. Nella Juve torna Barzagli in difesa, mentre sono ancora fuori per infortunio Chiellini, Vucinic e Pepe. Bianconeri che mantengono anche loro il 3-5-2, con la coppia d'attacco titolare che è ancora Tevez-Llorente, Caceres preferito all'ex Ogbonna come terzo di difesa e Marchisio, a segno nei due derby dello scorso anno, ancora in panchina.
La cronaca: Partita equilibrata e giocata a viso aperto, come forse non accadeva da molti anni. La Juve fa al solito il match, ma una volta nella metà campo avversaria trova tutti gli spazi intasati da un Toro corto e pronto a sfruttare ogni occasione per far scattare qualche micidiale ripartenza. El Kaddouri, il migliore tra i granata alla fine, spaventa Buffon con un pallonetto alto, Tevez replica impegnando Padelli con un gran tiro, per il resto regnano equilibrio e tensione. Almeno fino alla mezz'ora, quando Tevez riceve palla da Asamoah al limite, controlla e gira di destro nell'angolo, imparabilmente per il portiere avversario. Gara sbloccata, ora la Juve controlla, anche perché il Toro continua a restare coperto e così facendo favorisce il possesso palla e il ritmo lento imposto dai bianconeri. Unico brivido un fallo di mano di Vidal, già ammonito, che Rizzoli non se la sente di sanzionare con un secondo giallo che ci poteva stare. Nella ripresa, dopo un inizio lento e un po' sonnacchioso, i granata finalmente si scuotono per cercare il pari. Non arrivano veri tiri in porta, ma su un pallone in area Pirlo interviene sul solito El Kaddouri; il tocco ci sta tutto, anche se il marocchino accentua la caduta, ma Rizzoli ancora una volta lascia proseguire, tra le proteste del popolo torinista. Finisce 1-0, il proverbiale cuore Toro non è bastato per sfondare, la Juve resiste soffrendo terribilmente, ma di certo non mancheranno le polemiche sull'arbitro.
La chiave tattica: Il piano tattico di Ventura era giusto finché si è rimasti in parità, una volta sotto il Toro avrebbe forse dovuto osare prima, senza aspettare l'ultima mezz'ora.
Il migliore: Dopo la traversa dell'andata, Carlos Tevez aveva una voglia matta di lasciare il segno nel derby. C'è riuscito con una gran giocata, che dimostra ancora una volta cosa voglia dire essere un top player.
La delusione: Da qualche partita Vidal sembra in flessione nel gioco e nella condizione fisica. Oggi ha rischiato di lasciare la squadra in 10 e non ha mai lasciato il segno in positivo nel derby. Diffidato, dovrà assistere a Milan-Juve dalla tribuna.
La classifica: Bianconeri micidiali in casa, 13 vittorie in altrettante sfide, e vetta della classifica che resta solida con 66 punti, 9 in più della Roma e 16 più del Napoli, entrambe con una partita in meno.
Prossimi incontri: 27 febbraio, Trabzonspor-Juventus (Europa League); 2 marzo, Milan-Juventus; 9 marzo, Juventus-Fiorentina.

domenica 16 febbraio 2014

NUOVI PREGI, SOLITI DIFETTI

Immagine tratta da leggo.it
Il match: Subito dopo la rimonta subita a Verona, la Juve deve vedersela con l'altra formazione veronese, il Chievo, a secco di vittorie dai primi di dicembre e reduce da due sconfitte consecutive. Assenze importanti da entrambe le parti, ma di peso specifico differente viste le rose a disposizione. Juve con Barzagli, Chiellini, Vucinic e lo sfortunatissimo Pepe infortunati, e Pogba e Tevez in panchina per scelta tecnica. Titolari Caceres e Ogbonna in difesa, Marchisio in mezzo al campo e Giovinco, che solo poco tempo fa sembrava un desaparecido, in avanti al fianco di Llorente. Anche il Chievo ha problemi di formazione, in particolare dietro, dove mancano l'infortunato Dainelli e lo squalificato Cesar, mentre in mezzo al campo pesa l'assenza di Rigoni, influenzato. In porta debutta Agazzi, preso a gennaio dal Cagliari dove era finito fuori rosa, il modulo è il 3-5-2 con Stoian preferito davanti come spalla di Thereau a Paloschi e Pellissier.
La cronaca: Partita sempre in mano alla Juve, che nel primo tempo non viene praticamente impensierita e padroneggia campo e ritmo a proprio piacimento. La partita la sblocca Asamoah intorno alla mezz'ora, con un gran tiro dal limite dell'area dopo essersi accentrato, poi Marchisio sembra chiuderla con un tap-in da corta distanza su una punizione di Pirlo ribattuta centralmente da Agazzi. Ma come ormai capita da troppe domeniche a questa parte, si ripropone il solito difetto dei bianconeri, che si rilassano troppo e lasciano prendere campo e fiducia a un avversario più deciso nella ripresa. A riaprire il match ci pensa un comico autogol di Caceres, che si vede schizzare sulla gamba un rinvio forte ma troppo frettoloso, e da quel momento per alcuni minuti lo Juventus Stadium tace, temendo un nuovo 2-2 dopo quello di domenica scorsa. A scacciare le paure ci pensano Llorente e soprattutto Agazzi, che manda in angolo una punizione che andava abbondantemente fuori di Pirlo, e sul successivo corner esce maluccio sullo spagnolo, che senza saltare mette dentro il 3-1. Gara finita, c'è tempo per assistere agli ormai soliti, ingenerosi fischi per un Giovinco volenteroso ma poco concreto, che provocano la giusta e rabbiosa reazione di Conte.
La chiave tattica: Pur giocando una gara poco brillante, la Juve mantiene l'ormai solita concretezza, sfruttando le occasioni che le vengono concesse per segnare e indirizzare la sfida. Se in passato molte sfide rimanevano bloccate per le troppe occasioni sprecate, ora sembra che la Juve abbia imparato ad essere, all'occorrenza, cinica e spietata nelle gare tatticamente complicate.
Il migliore in campo: Che la sua forma fisica fosse in crescita era evidente, oggi Asamoah ha suggellato un'ottima partita con la prima rete del campionato. La fascia sinistra sarà al sicuro finché lui manterrà questo livello di gioco.
La conferma: Con quella al Chievo diventano 10 le sue marcature in campionato. Fernando Llorente ormai è una sicurezza davanti, neanche la concorrenza di Osvaldo sembra averlo distratto dalla sua impressionante regolarità.
La delusione: La rete del Chievo è in buona parte colpa di Lichtsteiner, che non legge una situazione abbastanza tranquilla e si affretta nel rinvio, colpendo però Caceres e causando un'autogol da "Mai dire..." Una macchia in una partita poco brillante rispetto a quelle più recenti.
La sorpresa: Unico titolare superstite dietro, Bonucci da sicurezza al reparto e in un paio di occasioni è decisivo nel respingere conclusioni che potrebbero mantenere in bilico la partita.
La classifica: Dodicesimo successo in altrettante sfide casalinghe per la Juve, che resta in testa con 63 punti, con 12 lunghezze sulla Roma (in ritardo di 2 gare) e 13 sul Napoli.
Prossime partite: 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League); 23 febbraio, Juventus-Torino; 27 febbraio, Trabzonspor-Juventus (Europa League).

domenica 9 febbraio 2014

MAI DIRE GATTO...

Immagine tratta da calcioblog.it
Il match: La Juventus va a far visita a un Verona in gran forma, che ha interrotto contro il Sassuolo una piccola striscia di risultati negativi e intende confermarsi tra le prime di questa serie A. I padroni di casa risistemano un po' la difesa, in cui manca il capitano Maietta, con in neoarrivato Pillud e il recuperato Agostini in panchina, e schierano il collaudato 4-3-3 con l'ex juventino Toni al centro dell'attacco. I piemontesi devono rinunciare a Barzagli, uscito affaticato dalla sfida contro l'Inter, e lo rimpiazzano con Caceres, mantenendo il rodato 3-5-2 con lo scalpitante Marchisio e il nuovo acquisto Osvaldo in panchina. Non convocato Quagliarella, che già in settimana era apparso (smentite a parte) come un separato in casa.
La cronaca: Si può a ragione parlare di due partite, completamente diverse l'una dall'altra, a cui assistono i prima increduli e poi entusiasti spettatori del Bentegodi. Nel primo tempo non c'è partita, la Juve come contro l'Inter parte a mille e mette subito in chiaro la sua voglia di vincere. Tevez è alla matta ricerca di un gol, Rafael glielo nega prima, poi glielo "concede" buttandogli addosso un pallone calciato da Asamoah, quindi l'Apache raddoppia sfruttando il gran pallone di Pogba e la svista del guardalinee che non pesca il suo leggero fuorigioco. Venti minuti e la sfida sembra già finita, visto che il Verona non abbozza neanche una timida reazione. Ma bastano cinque minuti dopo l'intervallo per cambiare tutto, grazie alla difesa juventina che su una posizione decide di lasciar libero l'uomo sbagliato, Luca Toni, che di testa riapre la sfida. La Juve sembra controllare il match, ma sulla pressione dei veronesi si scopre, concede spazi sulle ripartenze e pian piano sembra perdere sicurezza. Un Buffon in versione extralusso salva ancora su Toni, un mani di Lichtsteiner molto sospetto non viene giudicato da rigore, ma all'ultimo secondo Juanito Gomez brucia sul tempo Ogbonna e di testa firma il 2-2 definitivo, impensabile a fine primo tempo. Come direbbe il buon vecchio Trap: "Mai dire gatto se non l'hai nel sacco"...
La chiave tattica: Come già notato nelle precedenti partite, finché la Juve mantiene alto il ritmo ed è concentrata non ce n'è, l'incontro è nelle sue mani. A cambiare tutto è ancora un errore di marcature sulle palle da fermo, che unito all'incapacità di riprendere in mano la situazione e segnare il terzo gol permette al Verona di recuperare il pareggio.
Il migliore: Proprio la scorsa settimana avevamo definito preoccupante l'astinenza di Carlos Tevez, a secco dall'ultima sfida del 2013. L'Apache deve averci ascoltati, perché ha risposto con ben due centri, oltre alla proverbiale grinta e al solito sacrificio al servizio della squadra.
La sorpresa: Accolto con un po' di scetticismo, Pablo Daniel Osvaldo si è presentato con la sua nuova maglia colpendo un palo e rendendosi subito pericoloso. Presto per giudicarlo, ma se si riesce a limitare il suo carattere "esuberante", può essere un acquisto molto utile a questa squadra.
La delusione: Sul gol di Toni pesa certamente l'errore della difesa bianconera, in particolare di Chiellini, che in coppia con Bonucci lascia troppo spazio al centravanti. Una leggerezza che costa cara, e di fatto cambia la storia della partita.
La conferma: Nelle ultime partite, Asamoah sembra aver ritrovato la continuità e la gamba dei momenti migliori, confermandosi a buon diritto titolare sulla fascia sinistra.
La classifica: Secondo pareggio esterno di fila per la Juve, che resta comunque leader in classifica con 19 vittorie, 3 pari e una sola sconfitta. Il vantaggio sulla Roma, che ha una sfida in meno, resta di 9 punti, si riduce a 13 quello sul Napoli.
Prossime partite: 16 febbraio, Juventus-Chievo; 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League); 23 febbraio, Juventus-Torino.

lunedì 3 febbraio 2014

IL FIORETTO E LA SPADA

Immagine tratta da gazzetta.it
Il match: allo Juventus Stadium va in scena il Derby d'Italia contro l'Inter, una delle sfide più sentite per i tifosi bianconeri, soprattutto dopo le recenti polemiche e dichiarazioni in seguito allo scambio Vucinic-Guarin saltato all'ultimo. I padroni di casa non possono disporre di Buffon, squalificato, e dell'influenzato Quagliarella, ma ripropongono Pirlo in regia e Chiellini a sinistra nella difesa a tre, con il solito 3-5-2 e il duo terribile Tevez-Llorente davanti. Inter senza l'infortunato Cambiasso, una grave perdita in mezzo al campo, e con Guarin non convocato, Mazzarri propone anche lui il 3-5-2, anche se è più un 3-5-1-1 con Alvarez a sostegno dell'unica punta Palacio. In tribuna i rispettivi colpi del mercato di gennaio, Osvaldo per la Juve, Hernanes per l'Inter.
La partita: ritmo e partita in mano alla Juve, che lascia gestire il pallone all'Inter solo per attaccarla quando si scopre e sfruttare al massimo il suo potenziale offensivo. Dopo un doppio miracolo di Handanovic su Tevez, al quarto d'ora Pirlo sfodera il fioretto e traccia l'assist per il taglio vincente di Lichtsteiner, che sblocca la sfida. I bianconeri gestiscono abbastanza serenamente per tutto il primo tempo, anche se rischiano sul solito errore di Bonucci a metà campo che da inizio ad un tre contro due sprecato malamente da Palacio. A inizio ripresa, deposte le armi di fino la Juve attacca a spada tratta e piazza l'uno-due che chiude i conti: colpiscono due gladiatori della squadra, prima Chiellini su una carambola in area dopo un angolo, poi Vidal che risolve un'altra mischia con la difesa avversaria che gioca alle belle statuine. Chiuso il match, i bianconeri rallentano il ritmo per gestire la gara, forse troppo perché l'Inter trova il gol sugli sviluppi di un corner con Rolando e spreca il possibile 2-3 con Palacio, davvero in serata no. Nel finale, manca solo il lieto fine per il figliol prodigo Vucinic, promesso sposo poi rifiutato proprio dall'Inter, che vede l'urlo del gol fermarsi sul palo.
La chiave tattica: ciò che colpisce è la tanta, troppa libertà concessa a Pirlo, che inventa il gol del vantaggio senza neanche un minimo di pressione addosso e per tutto il primo tempo distribuisce palloni a destra e a manca. La precisione e il cinismo sottoporta di inizio ripresa chiudono poi una sfida mai seriamente in discussione.
Il migliore: stasera merita il premio l'intero centrocampo bianconero, che sotto la guida del suo barbuto direttore d'orchestra mette in scena una sinfonia perfetta. Nota di merito in particolare a Lichtsteiner, il più in forma di tutti nell'ultimo mese.
La conferma: ciò che si è visto nell'ultima mezz'ora di gioco ribadisce ancora una volta che la Juve ultimamente fatica a gestire il ritmo una volta acquisito il risultato. Contro Samp e Inter è andata bene, ma in futuro non sarà sempre così.
La delusione: nell'anno nuovo Carlitos Tevez sembra aver smarrito la via del gol. Intendiamoci, il suo lavoro per la squadra e l'impegno sono encomiabili, e stasera ha trovato di fronte un Handanovic in gran fornma ma a una punta si chiede comunque, e principalmente, di buttarla dentro...
La sorpresa: in negativo, stupisce la pessima serata di Palacio, che si mangia almeno due grandi occasioni da rete, la prima sull'1-0. L'anno scorso aveva fatto centro sia all'andata che al ritorno contro i bianconeri, stavolta il Trenza ha clamorosamente steccato la partita.
La classifica: 59 punti e vetta solitaria per la Juve, che in casa mantiene il 100% di vittorie e continua a viaggiare ad un ritmo incredibile, con 9 lunghezze sulla Roma che deve recuperare la sfida contro il Parma e ben 15 sul Napoli.
Prossime partire: 9 febbraio, Verona-Juventus; 16 febbraio, Juventus-Chievo; 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League).

domenica 26 gennaio 2014

OLIMPICO AMARO

Immagine tratta da tuttomercatonews.com
I match: doppia esibizione juventina all'Olimpico di Roma, la prima in settimana contro i giallorossi per i quarti di finale di Coppa Italia, la seconda ieri in campionato contro i biancocelesti della Lazio. In Coppa, i bianconeri sono reduci dal comodo 3-0 casalingo sull'Avellino, e danno spazio a molte riserve, lasciando in panca portiere, esterni di centrocampo e punte titolari, riproponendo Pirlo in mezzo al campo al posto di Pogba. Gli avversari schierano la formazione tipo, con le uniche varianti di Torosidis per Dodo e il neo arrivato Nainggolan per Pjanic. In campionato, tornano tutti i titolari per la Juve, che rinuncia al solo Chiellini squalificato e ripropone Marchisio come regista, con Pirlo nuovamente in panchina, per dare la caccia alla tredicesima vittoria consecutiva. Lazio con diverse assenze per squalifica (Lulic, Onazi, Mauri) e infortunio (Ederson, Radu), alcuni titolari non ancora al 100%, ma carica dopo i 7 punti in 3 gare della nuova gestione Reja.
Le cronache: fondamentale per entrambi i match è stato probabilmente un singolo episodio, che in un caso ha deciso la sfida, nell'altra l'ha accesa e resa godibile e spettacolare. Andiamo con ordine. In Coppa Italia la Juve non corre grossi rischi, in un match tattico, pieno di errori e poco spettacolare. Si rende pericolosa due volte, una per tempo, prima con Giovinco fermato fallosamente in 1 contro 1 da Benatia (giusto il giallo, la chiara occasione da rete non c'era), e poi con Peluso che segna il gol del vantaggio ma con la palla che esce dal campo sul cross di Isla, giusto fermare tutto. La Roma cerca di approfittare dei tanti errori dei bianconeri, e ci riesce con la mossa giusta di Garcia, ovvero l'innesto di Pjanic in mezzo al campo. Sua la palla rubata che innesca l'azione assistita da Strootman e finalizzata da Gervinho, che brucia sul taglio Bonucci e segna a porta spalancata. Reazione debole e sterile della Juve, vincono i giallorossi e così sfuma anche la Coppa Italia, con l'ennesima sconfitta all'Olimpico (era accaduto anche nel 2012 in Finale contro il Napoli e lo scorso anno in semifinale contro la Lazio). In campionato le cose non vanno molto meglio, anzi dopo 25 minuti sonnacchiosi arriva l'episodio che potrebbe decidere il match. Filtrante di Konko per Klose, che passa indisturbato tra Ogbonna e Asamoah e viene steso da Buffon in disperata uscita. Rigore e rosso per il portiere, Candreva trasforma e la Lazio è avanti. Conte passa al 4-3-2, la Juve inizia ad alzare il ritmo e crea la prima occasione con Llorente (girata debole, facile parata di Berisha). Ripresa con i bianconeri un po' più decisi che riequilibrano il match al quarto d'ora: Tevez inizia l'azione difendendo palla, scarico a Lichtsteiner che dal fondo pesca la testa di Llorente, implacabile di testa. Pochi minuti dopo l'Apache ha l'occasione addirittura del vantaggio, è bravo Berisha a dirgli di no. Poi, la Lazio viene fuori dal guscio e prova a vincere la sfida, forte dell'uomo in più, con Storari che diventa protagonista alzando sulla traversa il colpo di testa ravvicinato di Klose. Quando non arriva lui, è il palo a pochi minuti dalla fine a salvare la sua porta dal destro a giro di Keita. Finisce 1-1, risultato prezioso per come si era messa la sfida.
La chiave tattica: sia Roma che Lazio hanno avuto la stessa idea di gioco contro la Juve, ovvero squadra corta e arretrata pronta a rubar palla a centrocampo e ripartire veloce con i contropiede. In Coppa Italia il gol di Gervinho nasce così, in campionato la Lazio non ha approfittato a sufficienza degli spazi concessi dai bianconeri in cerca del pari.
I man of the match: difficile trovarne uno in Coppa Italia, segnaliamo Vidal per il solito lavoro in mezzo al campo, anche se non brilla come in altre giornate. Ieri invece il riconoscimento va senz'altro a Llorente, al nono gol di 18 partite di campionato, tutti decisivi per il risultato delle partite. Sui palloni alti in area lui c'è sempre, è lui il riferimento offensivo in questo momento della stagione.
Le sorprese: in Coppa segnaliamo quella negativa di Pirlo, che nonostante il riposo in campionato soffre le pene dell'inferno, sempre pressato da Nainggolan e mai in grado di fare una giocata delle sue. In Campionato citiamo Storari, che si fa trovare pronto sulla zuccata ravvicinata di Klose, e in generale si dimostra sempre sicuro e affidabile quando viene chiamato in causa.
Le delusioni: contro la Roma, Bonucci regala il solito svarione a partita, stavolta doppio perché si fa anticipare da Pjanic e non contento lascia tagliare Gervinho restando fermo in mezzo all'area. Ogbonna lo imita contro la Lazio, giocando alle belle statuine con Asamoah mentre Klose passa in mezzo a loro e si procura il rigore che cambia la sfida.
Le conferme: Giovinco e Quagliarella confermano il loro status di riserve, soprattutto il secondo che in tutta la partita non si vede mai. Lichtsteiner invece da continuità alle ultime prove, sforna l'assist per Llorente e corre per 90 minuti su tutta la fascia.
La classifica: Interrotta la striscia di vittorie, la Juve mantiene 9 punti di vantaggio sulla Roma (che ha una gara in meno) e 12 sul Napoli. Secondo pari in campionato, con 17 successi e 1 sola sconfitta, miglior attacco con 51 reti e seconda miglior difesa con 15 gol subiti.
Prossimi impegni: 2 febbraio Juventus-Inter, 9 febbraio Verona-Juventus, 16 febbraio Juventus-Chievo.

domenica 19 gennaio 2014

DODICESIMA CON BRIVIDO

Immagine tratta da datasport.it
Il match: Prima di ritorno e la Juve, reduce dalla striscia record di 11 successi consecutivi, se la vede con una Sampdoria tornata tosta e combattiva grazie alla cura Mihajlovic, che ha strapazzato in casa 3-0 l'Udinese nell'ultimo turno. I bianconeri mantengono il solito 3-5-2, unici assenti Pirlo e Bonucci, il primo per turnover (lo sostituisce Marchisio, e direi più che bene), il secondo per un piccolo problema fisico (lo rimpiazza Ogbonna, bene ma non benissimo). Mancano anche De Ceglie e Marco Motta, il primo già al Genoa, il secondo in procinto di raggiungerlo, anche se di queste assenze in pochi si accorgono e si accorgeranno. Samp con il 4-2-3-1, Eder fa l'unica punta, alle sue spalle Gabbiadini come supporto e Bjarnason e Wszolek come disturbo alla manovra avversaria più che supporto alla propria.
La cronaca: Di tutte le sfide casalinghe disputate quest'anno dalla Juve, questa è stata senza dubbio una delle più difficili e impegnative, ben al di là di quanto dica il punteggio. Per 25 minuti i bianconeri sono padroni del campo e impongono i loro ritmi, andando a segno due volte con Vidal (splendida l'azione con assist di Pogba) e Llorente. Poi la Samp reagisce, fa paura e alla fine accorcia con un'autorete di Barzagli su tiro-cross di Gabbiadini. Subito il gol, la Juve rialza il ritmo, Vidal si procura e trasforma il rigore che vale il suo decimo gol in stagione e sembra chiudere la sfida. Nella ripresa invece i blucerchiati mettono in seria difficoltà i padroni di casa, Buffon fa un miracolo su De Silvestri, poi si ripete su Regini ma nulla può su un Gabbiadini abbandonato dalla difesa. Lo stesso Gabbiadini, a proposito di giovani terribili di proprietà bianconera, continua a mettersi in mostra centrando la traversa con un gran tiro da fuori. Ci pensa la solita bordata di Pogba dal limite dell'area a chiudere la sfida e assicurare la dodicesima, sudata vittoria consecutiva alla Juve.
La chiave tattica: Ai fini del risultato è stato decisivo il ritmo che i bianconeri hanno imposto alla gara, e soprattutto la loro capacità di alzarlo subito dopo che la Samp sembrava aver riaperto la sfida. Un'accelerata al momento giusto e arrivano i gol che ricacciano indietro l'avversario, una cosa che solo le grandi sanno fare.
L'uomo partita: Sono in due a contendersi la palma, per ragioni diverse. Vidal la merita per lo splendido primo tempo, con due reti che lo portano a quota 10. Pogba a sua volta va menzionato per la continuità, l'assist con cui permette il primo gol e il destro con cui la chiude. Sta diventando insostituibile, la sua crescita sul mercato è più che motivata.
La sorpresa: Segnaliamo la buona partita di Marchisio come vice Pirlo. Il Principino, soprattutto nel primo tempo, si rende protagonista di una prestazione molto positiva, ed ha il merito di rubare il pallone e servire Vidal in occasione del rigore del 3-1.
La delusione: L'intero blocco difensivo finisce sul banco degli imputati. Barzagli e Chiellini fanno errori non da loro e lasciano spesso libero l'uomo sugli angoli. Dopo Cagliari, altre due reti arrivate su palle inattive, un aspetto su cui occorre lavorare.
La conferma: Fernando Llorente continua a timbrare regolarmente il cartellino, arrivando a quota 8 in campionato. Da inutile a pedina fondamentale nello scacchiere di Conte, com'è strano il calcio...
Classifica: Juve in fuga a 55 punti, con 18 vittorie (10 su 10 in casa), 1 pari e 1 sconfitta. miglior attacco e seconda miglior difesa. Roma a 8 punti, Napoli a 13 con una gara ancora da giocare.
Prossime gare: 21 gennaio Roma-Juventus (Coppa Italia), 25 gennaio Lazio-Juventus, 1° febbraio Juventus-Inter.

lunedì 2 dicembre 2013

DA "DESAPARECIDO" A "RE LEONE"

Immagine tratta da sport.sky.it
Come ritrovarsi in casa un giocatore indesiderato, non richiesto e fuori forma, e scoprire dopo un paio di mesi di avere un estremo bisogno di lui. Ciò che sta accadendo in casa juventina con il centravanti Llorente è proprio questo: ignorato nei primi mesi di campionato, ora è decisamente lui il colpo del mercato bianconero, il giocatore giusto per tutte le esigenze e in tutte le partite. Un'evoluzione incredibile e per molti inattesa, quella del bomber basco, non se si guarda l'idea di gioco impostata da Conte e qualche episodio analogo del recente passato dei campioni d'Italia. 
Fin dalla sua prima stagione sulla panchina della Juve, infatti, il tecnico salentino ha sempre puntato su un attaccante di peso e di sostanza, magari non fenomenale sotto porta ma in grado con il suo fisico e le sue caratteristiche di dare profondità, far salire la squadra, e magari buttarla dentro con qualche giocata "sporca", stilisticamente non perfetta ma molto più efficace di dribbling e colpi di fantasia. Matri era l'esempio perfetto del centravanti voluto da Conte, che non a caso ha preso piuttosto male la sua cessione nell'estate, soprattutto per l'abnegazione e l'utilità che il ragazzo ha sempre dimostrato di possedere all'interno del gruppo, a prescindere dalle sue medie realizzative non sfavillanti. Titolare fisso nel primo scudetto della rinascita juventina, Matri si è poi dovuto giocare il posto giocatori simili a lui per stile di gioco e caratteristiche, come Quagliiarella e soprattutto Borriello, voluto proprio da Conte per dare una mano nelle fasi cruciali della corsa al titolo. Anche l'anno successivo, dopo una prima fase di stagione con il duo Vucinic-Giovinco titolare, la vera svolta tattica bianconera è arrivata con il reinserimento di Matri, che ha dato peso ad un attacco altrimenti fantasioso ma troppo leggero e, a tratti, inconcludente contro difese veloci e brave a non scoprirsi.
Llorente nel suo gioco è certamente simile a Matri per fisico e caratteristiche, ma con qualche netta differenza, di stazza ma soprattutto di tecnica. Lo spagnolo è più robusto, 10 centimetri e altrettanti chili in più dell'attaccante oggi al Milan, e unisce a questi vantaggi una capacità migliore di tenere il pallone, fare sponde veloci per i compagni e farsi trovare pronto sotto porta nei momenti importanti. E' anche più giovane di un anno, il che non guasta mai se si pensa in chiave futura, e conosce bene il palcoscenico europeo e internazionale, avendo disputato tre edizioni consecutive dell'Europa League con l'Athletic Bilbao (con tanto di finale persa nel 2012), ed essendosi aggiudicato con la Nazionale spagnola il titolo Mondiale nel 2010 ed Europeo nel 2012, pur giocando molto poco. Non è un fenomeno, ben inteso, ma conosce bene il ruolo del centravanti vecchia maniera, fisico e opportunista, e sa sfruttare bene le sue occasioni. Arrivato a costo zero perché in scadenza di contratto, a inizio stagione ha dovuto ambientarsi con il campionato italiano, e soprattutto ritrovare la forma migliore, visto che nella scorsa stagione aveva giocato poco per via del suo desiderio di lasciare il club basco per approdare alla Juventus. Superata la diffidenza iniziale dell'ambiente e di Conte, che non sembrava riuscire a trovargli posto nel suo attacco, si è giocato bene la sua prima chance da titolare, segnando la rete decisiva contro il Verona, e anche in Champions si è fatto notare quando ha realizzato due reti agli spagnoli del Real Madrid, una al Bernabeu ed una a Torino. Da quasi due mesi il posto accanto a Tevez è suo, senza più discussioni, e nelle ultime tre partite con il Napoli, a Livorno e in casa con l'Udinese ha segnato le reti decisive per sbloccare e successivamente vincere i match e consentire ai bianconeri di allungare in vetta al campionato.
Una bella rivincita per lui e un grosso smacco per i tanti critici che l'avevano definito inutile, fuori luogo, inadatto al nostro calcio, sopravvalutato. La sua sembrava in effetti la fotocopia delle esperienze di altri attaccanti arrivati alla Juve con buone aspettative, non come obiettivi di mercato dichiarati, e rivelatisi con il passare del tempo un flop di cui liberarsi in fretta. Se Borriello, nel 2012, si era gradualmente fatto apprezzare con un paio di gol importanti, anche se non sufficienti a garantirgli la permanenza in bianconero, la scorsa stagione le esperienze di Bendtner (nove partite pressoché anonime) e del suo sostituto Anelka (due scampoli di gara senza lasciare il segno) avevano deluso non poco le aspettativa di tecnico e dirigenza. E dire che Llorente era dato sul piede di partenza già prima dell'inizio del campionato, sponda Barcellona, e che dopo il primo mese in cui non aveva quasi messo piede in campo i giornali spagnolo lo davano per "desaparecido", dimenticato chissà dove da Conte e dal suo staff...
Ora il nuovo "Re Leone", come viene chiamato dai tifosi per la lunga chioma castana e la barba (non ce ne voglia il grande Batistuta, proprietario ad honorem di questo titolo...), è praticamente insostituibile, la sua utilità in campo è sotto gli occhi di tutti, e lo stesso Conte lo elogia e sembra disposto a tutto pur di non privarsi di lui, anche ad esentarlo dal turnover. Da "desaparecido" ad eroe e potenziale colpo di mercato, il passo per Llorente è stato davvero breve.

venerdì 1 novembre 2013

"MAGICA" COME NON MAI

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Dieci vittorie su dieci partite disputate, record assoluto per la serie A a girone unico, 24 reti realizzate ed appena una subita, porta di casa ancora inviolata e ben 11 giocatori diversi a segno. Basterebbero solo questi pochi numeri per dare un'idea di quanto sia impressionante quello che sta facendo la Roma in questa nuova stagione di serie A. Un inizio spaventoso, imprevedibile alla vigilia e ancor più strabiliante se si pensa al gioco espresso e all'autorità mostrata in campo. Un exploit che ha sorpreso un po' tutti e sta scaldando sempre di più una piazza e una città in cerca di rivincite e risultati dopo una serie di annate deludenti, e che ha radici proprio nel recente passato, tutt'altro che positivo.
La scorsa stagione era stata altalenante e troppo discontinua, con un cambio di allenatore (da Zeman ad Andreazzoli) a campionato in corso, la seconda esclusione consecutiva dalle Coppe Europee e, ciliegina sulla torta amara, la sconfitta nella Finale di Coppa Italia ad opera degli acerrimi rivali della Lazio, che ha ulteriormente inasprito gli animi e incendiato la piazza. Così, per la terza estate consecutiva in casa Roma si è resa necessaria una rivoluzione, in primis nella dirigenza e in panchina, e poi nella rosa di giocatori. Salutato Franco Baldini, con conseguente cessione dei pieni poteri a Walter Sabatini, e dopo qualche no da parte di nomi eccellenti (Mazzarri, Allegri, Blanc), alla fine si è scelto di puntare su un allenatore semisconosciuto in Italia, ma decisamente apprezzato nel suo paese: Rudi Garcia. Francese di chiare origini spagnole, 49 anni, questo tecnico ha al suo attivo un double Scudetto-Coppa nazionale realizzato con il Lilla nel 2011, e come marchio di fabbrica un gioco offensivo e veloce, con tocchi rapidi e di prima e tanto pressing per interrompere sul nascere le manovre avversarie. Carattere forte e idee molto chiare nella testa, Garcia si è subito presentato ai nuovi tifosi come un allenatore sicuro di sé e in grado di fronteggiare un ambiente ostile e ancora scottato per le ultime delusioni. Le sue indicazioni sono state molto utili per ricostruire e sistemare la squadra, con operazioni di mercato chiaramente ispirate alle sue idee tattiche e tecniche. Così è partita la seconda fase della rivoluzione romana, con tante cessioni, qualcuna anche un po' dolorosa, e acquisti in grado di sostituire e possibilmente non far rimpiangere i partenti.
Gli effetti di questo cambiamento, tecnico e di uomini, sono adesso visibili agli occhi. La difesa, l'anello debole degli anni passati, adesso è uno dei fiori all'occhiello del lavoro di Garcia, con un solo gol incassato, peraltro in trasferta. Merito di alcuni acquisti praticamente a costo zero, come il portiere De Sanctis e il terzino Maicon, e un solo investimento oneroso ma ben giustificato come Benatia. Anche centrocampo e attacco sono stati rinforzati secondo il suo credo calcistico, con la geometria di Strootman e la verve e pericolosità di Ljajic e Gervinho, quest'ultimo considerato una punta di livello modesto in Premier e letteralmente rifiorito in Italia. I gol non sono più a carico dei soli attaccanti, sono andati a segno undici marcatori diversi, e soprattutto nessuno è esonerato dal sacrificarsi e dal lavorare per il gruppo. La vera abilità del tecnico francese però è stata quella di rigenerare e ridare fiducia a giocatori che erano in crisi, criticati dalla piazza o addirittura invitati espressamente ad andarsene. Balzaretti è tornato quello di Palermo dopo un anno in cui è stato praticamente assente, De Rossi è di nuovo Capitan Futuro, il leader e l'esempio in mezzo al campo, Pjanic da nemico per la sua (presunta) cena con il laziale Lulic è il regista e l'uomo in più nella costruzione del gioco, Borriello ha ritrovato continuità, si sacrifica e lotta come mai per la squadra, ed è stato decisivo nella decima vittoria, quella di ieri contro il Chievo. Il resto l'ha fatto l'abile regia di Sabatini, che ha sì sacrificato pedine giovani e importanti come Marquinhos e Lamela, oltre agli odiati e ormai indesiderati Stekelemburg e Osvaldo, ma così facendo ha potuto operare meglio sul mercato, chiudendo per la prima volta con un attivo nonostante i tanti cambiamenti in rosa.
Da tutti questi movimenti e cambiamenti, e non solo, sono scaturite queste dieci vittorie consecutive, un record assoluto per la serie A, e soprattutto una mentalità vincente e una convinzione sempre più grande, che candida questa Roma ad essere una seria pretendente per lo Scudetto. L'assenza dalle coppe potrebbe essere un ulteriore vantaggio nel periodo caldo della stagione, quando le rivali saranno ancora in corsa in Europa e potrebbero perdere energie e uomini preziosi. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma di certo con la guida sicura di Garcia e la leadership di simboli come l'eterno, inimitabile Francesco Totti possono mantenere la squadra con i piedi per terra e far sognare ancora a lungo i tifosi, per rendere questa Roma più "magica" che mai.