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venerdì 1 novembre 2013

"MAGICA" COME NON MAI

Immagine tratta da laguidadelcalcio.it
Dieci vittorie su dieci partite disputate, record assoluto per la serie A a girone unico, 24 reti realizzate ed appena una subita, porta di casa ancora inviolata e ben 11 giocatori diversi a segno. Basterebbero solo questi pochi numeri per dare un'idea di quanto sia impressionante quello che sta facendo la Roma in questa nuova stagione di serie A. Un inizio spaventoso, imprevedibile alla vigilia e ancor più strabiliante se si pensa al gioco espresso e all'autorità mostrata in campo. Un exploit che ha sorpreso un po' tutti e sta scaldando sempre di più una piazza e una città in cerca di rivincite e risultati dopo una serie di annate deludenti, e che ha radici proprio nel recente passato, tutt'altro che positivo.
La scorsa stagione era stata altalenante e troppo discontinua, con un cambio di allenatore (da Zeman ad Andreazzoli) a campionato in corso, la seconda esclusione consecutiva dalle Coppe Europee e, ciliegina sulla torta amara, la sconfitta nella Finale di Coppa Italia ad opera degli acerrimi rivali della Lazio, che ha ulteriormente inasprito gli animi e incendiato la piazza. Così, per la terza estate consecutiva in casa Roma si è resa necessaria una rivoluzione, in primis nella dirigenza e in panchina, e poi nella rosa di giocatori. Salutato Franco Baldini, con conseguente cessione dei pieni poteri a Walter Sabatini, e dopo qualche no da parte di nomi eccellenti (Mazzarri, Allegri, Blanc), alla fine si è scelto di puntare su un allenatore semisconosciuto in Italia, ma decisamente apprezzato nel suo paese: Rudi Garcia. Francese di chiare origini spagnole, 49 anni, questo tecnico ha al suo attivo un double Scudetto-Coppa nazionale realizzato con il Lilla nel 2011, e come marchio di fabbrica un gioco offensivo e veloce, con tocchi rapidi e di prima e tanto pressing per interrompere sul nascere le manovre avversarie. Carattere forte e idee molto chiare nella testa, Garcia si è subito presentato ai nuovi tifosi come un allenatore sicuro di sé e in grado di fronteggiare un ambiente ostile e ancora scottato per le ultime delusioni. Le sue indicazioni sono state molto utili per ricostruire e sistemare la squadra, con operazioni di mercato chiaramente ispirate alle sue idee tattiche e tecniche. Così è partita la seconda fase della rivoluzione romana, con tante cessioni, qualcuna anche un po' dolorosa, e acquisti in grado di sostituire e possibilmente non far rimpiangere i partenti.
Gli effetti di questo cambiamento, tecnico e di uomini, sono adesso visibili agli occhi. La difesa, l'anello debole degli anni passati, adesso è uno dei fiori all'occhiello del lavoro di Garcia, con un solo gol incassato, peraltro in trasferta. Merito di alcuni acquisti praticamente a costo zero, come il portiere De Sanctis e il terzino Maicon, e un solo investimento oneroso ma ben giustificato come Benatia. Anche centrocampo e attacco sono stati rinforzati secondo il suo credo calcistico, con la geometria di Strootman e la verve e pericolosità di Ljajic e Gervinho, quest'ultimo considerato una punta di livello modesto in Premier e letteralmente rifiorito in Italia. I gol non sono più a carico dei soli attaccanti, sono andati a segno undici marcatori diversi, e soprattutto nessuno è esonerato dal sacrificarsi e dal lavorare per il gruppo. La vera abilità del tecnico francese però è stata quella di rigenerare e ridare fiducia a giocatori che erano in crisi, criticati dalla piazza o addirittura invitati espressamente ad andarsene. Balzaretti è tornato quello di Palermo dopo un anno in cui è stato praticamente assente, De Rossi è di nuovo Capitan Futuro, il leader e l'esempio in mezzo al campo, Pjanic da nemico per la sua (presunta) cena con il laziale Lulic è il regista e l'uomo in più nella costruzione del gioco, Borriello ha ritrovato continuità, si sacrifica e lotta come mai per la squadra, ed è stato decisivo nella decima vittoria, quella di ieri contro il Chievo. Il resto l'ha fatto l'abile regia di Sabatini, che ha sì sacrificato pedine giovani e importanti come Marquinhos e Lamela, oltre agli odiati e ormai indesiderati Stekelemburg e Osvaldo, ma così facendo ha potuto operare meglio sul mercato, chiudendo per la prima volta con un attivo nonostante i tanti cambiamenti in rosa.
Da tutti questi movimenti e cambiamenti, e non solo, sono scaturite queste dieci vittorie consecutive, un record assoluto per la serie A, e soprattutto una mentalità vincente e una convinzione sempre più grande, che candida questa Roma ad essere una seria pretendente per lo Scudetto. L'assenza dalle coppe potrebbe essere un ulteriore vantaggio nel periodo caldo della stagione, quando le rivali saranno ancora in corsa in Europa e potrebbero perdere energie e uomini preziosi. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma di certo con la guida sicura di Garcia e la leadership di simboli come l'eterno, inimitabile Francesco Totti possono mantenere la squadra con i piedi per terra e far sognare ancora a lungo i tifosi, per rendere questa Roma più "magica" che mai.

domenica 29 settembre 2013

SILVIO PIOLA, I 100 ANNI DI UN MITO

Immagine tratta da wikipedia.org
Se fosse ancora con noi, oggi festeggerebbe i 100 anni di vita. E in un'occasione come questa, sarebbe bello poterlo intervistare e farsi raccontare qualche aneddoto sulla sua lunga carriera sportiva, iniziata e conclusa nella provincia piemontese, con in mezzo gli anni romani e pochi, brevi anni tra le grandi di Torino, in cerca di uno scudetto mai arrivato. Soprattutto, sarebbe bello chiedergli quali sono stati i suoi gol più importanti, tra i 274 realizzati in 21 stagioni di serie A (290 se si considerano quelli messi a segno nel campionato 1946, il primo del dopoguerra). Sarebbe davvero bello, insomma, avere ancora con noi Silvio Piola, uno dei più grandi centravanti nella storia del calcio, ma non potendolo fare ci "accontentiamo" di raccontare la sua storia.
Figlio della provincia vercellese, terra che tanto ha dato alla nascita del nostro campionato di calcio, il giovane Silvio è uno degli ultimi grandi prodotti di un vivaio ormai in fase calante, ma ancora capace di sfornare campioni. Calciatore fin dalla tenera età di 12 anni, assapora i campi della serie A con la maglia della Pro Vercelli già nel primo campionato a girone unico, nel 1930, quando è appena sedicenne. L'anno successivo, al suo primo campionato da titolare, ci mette poco a mettere a segno la sua prima rete ufficiale, tra l'altro contro quella Lazio che sarà a lungo la sua squadra. E' la prima di 51 marcature con i bianchi piemontesi, che ripongono in questo ragazzo tutte le speranze per una lunga permanenza nel massimo campionato. Purtroppo per Vercelli, però, sul calciatore mettono gli occhi il generale Vaccaro e Giovanni Marinelli, importanti esponenti del Partito Fascista, che lo vogliono a Roma per rinforzare la Lazio, squadra da loro sostenuta. I primi anni nella nuova realtà sono poco promettenti, i gol arrivano ma la formazione biancoceleste è poco competitiva, e Piola non riesce a cambiare la situazione nonostante l'impegno. Con alcuni importanti rinforzi, il gioco della Lazio migliora e per un po' le speranze di ottenere l'ambito scudetto emergono, ma è un fuoco di paglia. A parte un secondo posto nel 1937 alle spalle del Bologna, con Piola capocannoniere del torneo, i laziali non riescono a diventare la formazione in grado di spezzare il dominio delle squadre del Nord. L'inizio della Seconda Guerra Mondiale interrompe definitivamente questo sogno, e Silvio Piola ne approfitta per riavvicinarsi a casa, giocando il campionato del 1944 con il Torino Fiat in un torneo riservato all'Alta Italia e i due successivi nella Juventus. Sono gli ultimi anni in cui l'ormai esperto centravanti prova a coronare il sogno di vincere un campionato, sogno che resterà tale perché prima sono i sorprendenti Vigili del Fuoco di La Spezia e poi il Grande Torino a conquistare i titoli, lasciando a Piola l'amarezza di tanti piazzamenti. Con il giovane e scalpitante Giampiero Boniperti in fase di lancio, Silvio capisce che alla Juve non c'è più posto per lui, e cambia ancora aria, accettando l'offerta del Novara, che con lui punta a tornare grande. A 35 anni guida gli azzurri alla promozione in A, e con loro conquista la salvezza nelle stagioni successive, continuando a segnare su buoni ritmi nonostante l'età non più verde. L'ultima rete arriva nel febbraio del 1954, a 40 anni suonati, contro il Milan di Nordahl e Liedholm, l'ultima presenza un mese dopo contro l'Atalanta, poi arriva l'inevitabile e meritata pensione.
Se la carriera in serie A è ricca di gol ma avara di vittorie, ci pensa la maglia azzurra della Nazionale a consegnare a Piola i riconoscimenti che merita. Escluso dai convocati del vittorioso Mondiale 1934 a causa dell'agguerrita concorrenza tra gli attaccanti, esordisce l'anno successivo quasi per caso, chiamato a sostituire l'indisponibile Peppino Meazza. Titolare nella tana della temibile Austria, Silvio risponde con una strepitosa doppietta, che vale un successo importante e gli consegna ufficialmente la maglia numero 9, erede di un altro grande centravanti come il bolognese Angelo Schiavio. Onorato di vestire la divisa della Nazionale, Piola segna a raffica ed è uno dei grandi protagonisti del nostro bis Mondiale del 1938, in cui realizza 5 reti, di cui due nella vittoriosa finale contro l'Ungheria. Un altro momento di rilievo nella sua carriera azzurra fu la rete segnata nel pareggio 2-2 contro l'Inghilterra, in cui si aiutò con una mano, un gesto irriverente esaltato dal regime e divenuto celebre come la "manina di Piola." L'ultimo gol in Nazionale lo mette a segno nel 1946, l'ultima presenza arriva addirittura a oltre 38 anni, nel maggio del 1952, chiamato a sostenere il giovane gruppo azzurro dal suo vecchio compagno Meazza. Rimane a lungo il giocatore più anziano ad aver indossato la maglia dell'Italia (record superato da Dino Zoff nel 1980) ed è ancora oggi il terzo marcatore della Nazionale, con 30 centri in 34 partite, con una media di 0,88 che è la migliore in assoluto. Ancora più impressionanti sono i suoi record in serie A: 274 reti in 537 partite, 290 in 566 contando il torneo del 1946, miglior marcatore nella storia di Pro Vercelli, Novara e Lazio, primo realizzatore in assoluto nella storia del nostro campionato, con un record di sei centri in una singola partita nel 1933.
Per lunghi anni, Piola è rimasto un mito per molte generazioni di tifosi italiani, affascinati da questo personaggio a tratti leggendario, praticamente perfetto e in grado di segnare in ogni modo, di destro, di sinistro, di testa, da fuori area, sotto porta, su calcio di rigore. Fisicamente possente e robusto, veloce e furbo in area di rigore, Silvio è stato uno degli inventori del gioco spalle alla porta, con cui spesso disorientava i difensori avversari e si rendeva imprevedibile. Aiutato da una forma spesso ottimale, che lo ha preservato da infortuni seri e gli ha consentito di giocare a lungo, Piola si è dimostrato un centravanti temibile ed efficace anche con l'avanzare degli anni. Ulteriore sostegno gli derivava da una vita sempre sobria e morigerata, da perfetto antidivo, senza mai un eccesso con donne, fumo o alcol, in netto contrasto con tantissimi suoi colleghi, in primis il mondano Peppino Meazza, che con lui ha avuto un rapporto definito difficile da alcuni giornalisti (Brera in primis) e molto amichevole da altri. Il mondo del calcio non era la sua unica passione, soprattutto il lavoro di allenatore non lo attirò mai troppo, visto che le sue esperienze si riducono a quella di aiutante in campo del tecnico Czeizler nel disastroso Mondiale del 1954 e per due brevi parentesi di qualche anno in B con l'ambizioso Cagliari, coronate da scarsi risultati. Poco avvezzo alla tattica e alle parole e più avvezzo all'esperienza sul campo, Silvio Piola rimase per molto tempo nei ranghi della FIGC come osservatore e istruttore, ma lavorò sempre dietro le quinte, senza mai apparire troppo. Legato profondamente alla provincia piemontese da cui proveniva, si è spento nella sua casa di Gattinara nel 1996, poco dopo aver compiuto 83 anni, malato dall'Alzheimer. Oggi ricorre ufficialmente l'anniversario dei 100 anni della sua nascita, la FIGC ha onorato il suo ricordo già da qualche giorno, e Vercelli e Novara hanno intitolato a lui gli stadi delle rispettive squadre, con le cui maglie si è più volte fatto onore sul campo. Il nome di Silvio Piola è da sempre nell'Olimpo dei calciatori italiani, come uno dei più grandi miti della nostra passata gloria sportiva, come uno dei migliori attaccanti di sempre nella nostra storia, e come l'uomo che vinse un Mondiale ma non riuscì mai a vincere uno Scudetto. I miti, in fondo, nascono anche così.

giovedì 20 giugno 2013

IMBATTIBILE SIENA

Immagine tratta da gonews.it
Chiamatela anche l'invincibile. Sono ormai sette anni che la stagione si conclude con la stessa scena: gli avversari che piangono e si disperano, e Siena al centro del campo che alza al cielo l'ennesimo scudetto. Anche quest'anno è finita così, nonostante lo scetticismo e i dubbi che avevano accompagnato la stagione dei toscani, nonostante il ridimensionamento del budget e la partenza di tanti giocatori importanti.
La bravura del nuovo allenatore Luca Banchi, una vita come secondo di Pianigiani e ora per la prima volta al timone della squadra, è stata quella di mischiare bene l'esperienza dei "superstiti" del gruppo precedente con il talento e la voglia di vincere dei nuovi arrivati. Impegnata su più fronti, Siena è sembrata a tratti inadeguata per vincere il confronto con rivali agguerrite e che erano apparse superiori durante la stagione. Ma i toscani hanno nove vite, anche quando sembrano morti sanno sempre trovare nuove energie ed affidarsi ad un protagonista diverso se una delle stelle non è in giornata. La Coppa Italia aveva già dimostrato che Siena restava una squadra temibile anche senza i campioni delle stagioni precedenti: pur partendo da sfavorita, aveva sconfitto prima Sassari e poi Varese, le squadre che stavano dominando la stagione regolare, aggiudicandosi il primo trofeo della stagione. Si era detto allora che i senesi erano più esperti e abituati degli altri a giocarsi tutto nella partita secca, e che in una serie di playoff non sarebbe stata la stessa storia. Il calo fisico inevitabile, causato dall'impegno in contemporanea in campionato ed Eurolega, aveva alimentato le voci di quanti credevano che fosse davvero arrivata la fine del dominio dei biancoverdi in Italia. Invece, pur eliminata dolorosamente dalla più prestigiosa competizione europea per club, Siena ne ha approfittato per recuperare le energie, ritrovare la forma e la concentrazione migliore e giocarsi tutto nei playoff scudetto.
Il primo segno di riscossa l'hanno lanciato contro Milano, dopo essere stati sotto 2-0 e 3-2 e aver rischiato seriamente un'eliminazione precoce: espugnando il campo avversario in gara 7 e aggiudicandosi la serie, i toscani hanno ribadito che non era così facile buttarli fuori. Contro Varese in semifinale è arrivata la seconda dimostrazione di forza dei senesi, che sono andati sul 3-1, hanno subito la rimonta avversaria perdendo gara 6 in casa con un canestro beffardo a 62 centesimi di secondo dalla fine, ma hanno vinto la sfida decisiva ancora in trasferta chiudendo la serie e guadagnandosi la finale. Qui si è compiuto l'ultimo capolavoro, contro Roma, a cui è stata imposta la superiorità fisica e la maggiore abilità nel gestire gli ultimi decisivi possessi, che ha consentito di vincere in cinque partite la serie e conquistare quello che è il settimo scudetto consecutivo, record assoluto per il Campionato Italiano di basket. Tanti i giocatori meritevoli di una citazione per l'impegno e l'impatto nelle varie serie, ma tre nomi spiccano su tutti gli altri: Bobby Brown, David Moss e Daniel Hackett. Il primo, l'abbiamo già detto più volte, non è sicuramente Bo McCalebb o Terrell McIntyre, non eccelle forse come playmaker, ma ha tanti punti nelle mani, e sa prendersi le sue responsabilità nei momenti caldi delle partite, riuscendo in un attimo a trasformarsi da oggetto misterioso ad uomo decisivo; il secondo è una delle anime di Siena, difensivamente ormai è uno dei migliori se non il migliore in Italia, ha una grande intelligenza cestistica e se è anche in giornata con il tiro da 3 è un'arma fondamentale nell'attacco senese; il terzo, al suo primo palcoscenico importante, è stato a lungo l'uomo decisivo nei playoff, prendendo spesso in mano la squadra nei momenti di difficoltà e mostrando una maturità incredibile, che gli è valsa il titolo di MVP della Finale, che va ad aggiungersi a quello già vinto in Coppa Italia, entrambi meritatissimi.
Condottiero e artefice della vittoria è, indubbiamente, anche l'allenatore Luca Banchi, che ha raccolto una difficile eredità ed è riuscito nonostante tutto a ripetere il prestigioso double Scudetto-Coppa Italia, convincendo anche i più scettici delle sue capacità. Partito con una rosa ridimensionata e molto scetticismo, ha saputo correggere in corsa la rotta mantenendo sempre alta la concentrazione della squadra e confermando alcuni principi fondamentali della gestione precedente, come la difesa dura e la capacità di giocare per creare tiri aperti per il giocatore meglio piazzato. Le scommesse Hackett e Brown si sono rivelate vincenti, il gruppo storico con Moss e gli italiani Carraretto e Ress ha fatto il suo, il resto della rosa è riuscito a turno a fare la sua parte, e così si è costruito l'ennesimo trionfo della gestione Minucci. Ieri è scattata ancora una volta la festa nella città del Palio, mai sazia di successi e di vittorie, e che ha visto nello sport un riscatto dopo un'annata difficile e tante polemiche che non hanno nulla a che fare con lo sport. Permettetemi di concludere facendo un appunto al comportamento pessimo dei tifosi, o presunti tali, di alcune squadre, che non hanno saputo accettare il verdetto del campo reagendo in modo violento e a volte incomprensibile, come a Varese quando hanno sommerso di oggetti e insulti i senesi, e anche ieri a Roma purtroppo si è avuto qualche momento difficile, anche se poi la premiazione si è svolta nella massima tranquillità. Considerando i problemi finanziari e l'evidente calo di qualità a cui va incontro il nostro basket, sarebbe bello che almeno lo spirito sportivo rimanesse inalterato e che certe scene non si vedessero più nei palazzetti italiani. Sarebbe quello il primo passo per rilanciare un movimento che ha grande bisogno di aria nuova, e che merita decisamente un seguito e una visibilità maggiori. Adesso iniziano le vacanze estive, ma tutti aspettiamo con ansia l'inizio di una nuova, entusiasmante stagione, e vediamo se si confermerà ancora il finale di questi ultimi anni: Siena vince, e tutti gli altri stanno a guardare.

martedì 18 giugno 2013

CONFEDERATIONS CUP 2013: PAGELLE TERZA GIORNATA

Immagine tratta da mondopallone.it
Le partite del gruppo B chiudono ufficialmente la prima giornata di questa Confederations Cup 2013. In campo il big match tra Spagna e Uruguay e il meno allettante scontro tra Nigeria e Tahiti. Questo è il nostro giudizio sulle due partite.
SPAGNA
Tattica: Il modulo della Spagna, ormai, è sempre lo stesso da sette anni ad oggi: palla bassa, tanti tocchi di palla per controllare il ritmo e poi improvvise accelerazioni per colpire. Con Soldado si torna ad impiegare una vera punta centrale, il tasso tecnico superiore fa la differenza, in una vittoria molto più netta del risultato.
Il migliore: Non è un caso che sia stato proprio lui a regalare alle Furie Rosse il loro primo titolo mondiale. Iniesta se è in serata è il miglior centrocampista del Mondo, contro i mediani uruguayani fa quello che vuole, è in tutte le azioni pericolose e sfiora anche la marcatura personale. Dominante. Voto 7,5.
Il peggiore: Come si fa a trovare un peggiore in una partita così? Dovendo fare un nome, diciamo Arbeloa, ma senza particolari demeriti per il terzino del Real. Diciamo che paga la minore attività rispetto al compagno di reparto Jordi Alba, ma la sufficienza la merita ugualmente. Voto 6.
URUGUAY
Tattica: Contro i maestri del palleggio spagnoli, Tabarez si affida alla grinta dei suoi giocatori e ad un 4-4-2 che dovrebbe sfruttare l'estro di Ramirez e Rodriguez. Non va come sperava, proprio sulle fasce i suoi vengono dominati in lungo e in largo, rischiando un passivo ben più pesante dell'1-2 finale.
Il migliore: Il voto di sufficienza viene ottenuto solo per lo splendido gol realizzato nel finale. Suarez è senza dubbio il giocatore di maggior classe dell'Uruguay alla pari con Cavani, e lo dimostra sfruttando uno dei pochi palloni utili. La riscossa della squadra deve partire da lui. Voto 6.
Il peggiore: Tutto il centrocampo della Celeste naufraga amaramente, il simbolo forse delle difficoltà è Gargano, sballottato a destra e sinistra dal palleggio spagnolo. Impreciso, incapace di opporsi all'avversario, esce dalla gara frastornato e stremato. Sottotono insomma, come tutta la squadra. Voto 4,5.
Curiosità: Con la rete di ieri, Suarez è arrivato a quota 33 centri con la maglia dell'Uruguay, eguagliando il primato che appartiene al suo compagno di squadra Forlan. La differenza sono le presenze e l'età: 99 per Forlan, 34 anni, contro le 65 di Suarez, che di anni invece ne ha appena 26.
NIGERIA
Tattica: Contro un avversario non certo irresistibile, gli africani optano per un modulo spregiudicato, con due esterni molto offensivi a sostegno dell'unica punta e una spinta continua sulle fasce. Partita facile facile, qualche amnesia difensiva di troppo, che contro Spagna e Uruguay non saranno permesse.
Il migliore: La tripletta rende merito alla prestazione di Oduamadi, che fa letteralmente a fette la difesa tahitiana, non certo impenetrabile di suo. Veloce e tecnico, l'esterno di scuola Milan può usare questa vetrina per compiere il definitivo salto di qualità e, magari, guadagnarsi la fiducia di Allegri. Voto 7,5.
Il peggiore: Diciamoci la verità, concedere un gol ai modesti tahitiani è segno di scarsa concentrazione e di qualche imprecisione. La difesa nigeriana non è certo perfetta, in particolare Omeruo soffre tutta la gara i modesti attaccanti avversari. Continuando così contro Cavani e Soldado saranno dolori... Voto 5.
TAHITI
Tattica: Difficile parlare di tattica per la Nazionale oceanica, che cerca soprattutto di divertirsi e disputare con dignità il torneo. Difesa a cinque, quattro centrocampisti e una sola punta, con pochi giocatori di livello accettabile. La goleada arriva lo stesso, ma la soddisfazione del gol segnato è uno spot per il calcio.
Il migliore: E' grazie ad un suo gol che Tahiti per la prima volta nella sua storia disputa un torneo calcistico importante. Chong Hue ha deciso la finale di Coppa d'Oceania del 2012, è un attaccante con buoni movimenti e nel primo tempo sfiora anche il gol. E' lui il migliore dei suoi a conti fatti. Voto 6.
Il peggiore: Difficile giudicare una prova imbarazzante come quella della difesa tahitiana, alla fine la somma di errori consegna al portiere Samin la poco invidiabile palma di peggiore in campo. Incredibile la papera sul terzo gol, commette molte altre imprecisioni e non da mai segni di sicurezza ai compagni. Voto 4.
Curiosità: Questa è solo la prima partita di Vahirua con la sua Nazionale. Trentatré anni, una vita passata giocando in Francia, aveva sempre rifiutato le convocazioni per risparmiarsi i lunghi e faticosi viaggi transoceanici. Un'occasione come la Confederations Cup, però, non poteva certo farsela scappare.

domenica 17 marzo 2013

IL 6 NAZIONI DEL BARONE

Immagine tratta da repubblica.it
Si è concluso ieri il Sei Nazioni 2013, il più importante torneo di rugby che si disputa in Europa. E' terminato con il botto finale, ovvero con il successo del Galles, che con una schiacciante vittoria ai danni dell'Inghilterra, fin qui imbattuta e grande favorita, si è riconfermato campione del torneo, già vinto lo scorso anno. E' stato positivo il cammino della Scozia, che ha fatto vedere un bel gioco e molti giocatori giovani e interessanti, mentre hanno deluso molto l'Irlanda, in fase di rinnovamento e svecchiamento, e soprattutto la Francia, che sembra avere poca chiarezza nella conduzione tecnica ed ha concluso il campionato all'ultimo posto, ricevendo il ben poco ambito cucchiaio di legno. E l'Italia? Per gli azzurri sono arrivati un positivo quarto posto in classifica, il secondo da quando partecipiamo a questo torneo, con due vittorie e tre sconfitte, e soprattutto una certa evoluzione nel gioco e nella convinzione, anche se mancano ancora la continuità e la cattiveria necessarie per pensare di essere davvero diventati una grande squadra. Ma questo Sei Nazioni che va in archivio porta con sé un'emozione particolare, non solo per le vittorie contro Francia e Irlanda, ma anche e soprattutto perché è stato l'ultimo disputato da uno dei grandissimi protagonisti del rugby azzurro, che è stato un simbolo dell'Italia in questo sport, e che dopo tante delusioni si è finalmente preso delle belle soddisfazioni anche con la Nazionale. Stiamo parlando del pilone Andrea Lo Cicero.
Catanese di nascita, Lo Cicero viene da una famiglia che può vantare origini nobiliari (e per questo verrà presto soprannominato "il Barone", nomignolo che tuttora lo distingue) e una passione innata per il rugby, visto che anche suo nonno Michele ha praticato questo sport in gioventù. Proprio nella sua Catania inizia a giocare a livello agonistico con la palla ovale, debuttando a 17 anni con la Amatori e rimanendoci per quattro stagioni, prima di iniziare una lunga serie di trasferimenti. A ventun'anni si trasferisce a Bologna, la stagione successiva passa a Rovigo, quindi per due anni è a Roma, dove vince uno storico scudetto nel 2000. Tenta anche un'esperienza all'estero, accasandosi ai francesi del Tolosa, ma dopo un anno e mezzo decide di tornare in patria, e gioca prima con la Lazio, poi per tre stagioni con L'Aquila, altro club storico nel panorama rugbistico italiano. Dall'estate del 2007 torna in Francia, nel Racing Metro, con cui conquista due anni dopo la promozione nel massimo campionato francese e in cui gioca tuttora. Parallelamente con la sua carriera da giocatore di club, si sviluppa anche il suo lungo sodalizio con la maglia della Nazionale Italiana. Già nel 1999 è uno dei convocati per la Coppa del Mondo di Rugby, anche se non viene mai schierato, e l'anno seguente esordisce nella sfida contro l'Inghilterra nel primo Sei Nazioni disputato dagli azzurri. Da allora, indossa per quasi quattordici anni di fila la maglia italiana, partecipa ad altre tre Coppe del Mondo (2003, 2007 e 2011), questa volta da protagonista, e diventa uno dei simboli del rugby azzurro a livello mondiale, con spot, pubblicità e un enorme carisma mediatico. Le sue abilità sono tali che riceve anche per tre volte la chiamata dei mitici Barbarians, la squadra formata da giocatori di tutto il Mondo che sfida avversari di prestigio in incontro amichevoli, marcando anche una meta alla sua prima partita, nel 2004, contro i mitici All Blacks neozelandesi. 
Potente, duro e deciso nei placcaggi, energico nel portare avanti i palloni e nel sostenere i suoi compagni, meno mete realizzare rispetto ai suoi colleghi più agili e sguscianti, ma un enorme lavoro sporco che alla fine fa vincere le partite ed esalta i tifosi. Lo Cicero ha rappresentato per almeno una dozzina di anni uno dei simboli del rugby azzurro, diventando presto un personaggio a tutto tondo e l'emblema di un movimento in continuo rinnovamento e sempre in crescita, che sta cercando a piccoli passi di arrivare a competere alla pari contro tutte le potenze mondiali della palla ovale. Con lui, e con gente come i fratelli Bergamasco, Parisse e Castrogiovanni, oltre ad altri grandi vecchi del rugby azzurro come Checchinato e Troncon, l'Italia si è affacciata per la prima volta al Sei Nazioni, dapprima nel ruolo di cenerentola del torneo, poi sempre più con ambizioni di miglioramento e in cerca di ruoli da protagonista. Titolare quasi inamovibile e pilastro della mischia italiana, ha appassionato varie generazioni di appassionati con le sue cariche decise, a testa bassa, ha affrontato avversari di ogni continente e di livello internazionale, sempre a testa alta e con la voglia di vincere. Questo 2013 è stato un anno molto importante per lui, che a quasi trentasette anni si è tolto due enormi soddisfazioni a livello personale: prima ha giocato la sua centesima gara in azzurro, contro la Scozia, poi è diventato il recordman per quanto riguarda le presenze con la maglia dell'Italia, superando il primato di 101 del suo vecchio compagno di squadra Troncon e arrivando a 103 caps proprio ieri, nella grande vittoria contro l'Irlanda. Il modo migliore per concludere una grande carriera, l'ultima soddisfazione di una vita sportiva che l'ha visto lottare e soffrire per moltissime stagione, subire vari tipi di infortunio, senza per questo lasciare mai il campo per infortunio, come lui stesso dice nella sua autobiografia.
L'addio è stato bellissimo, commovente, con uno stadio Olimpico pieno e tutto per lui, pronto ad applaudirlo all'uscita dal campo durante la partita, e poi ad osannarlo durante il giro d'onore con tricolore in mano, quel tricolore che ha a lungo portato sul petto e ha onorato sempre con fatica, sudore e grande energia. Insomma, ha chiuso il suo torneo e la sua carriera azzurra da Barone, come lui stesso ha dichiarato con le lacrime agli occhi, e presto lascerà ufficialmente il rugby per diventare allenatore e aiutare il movimento azzurro nella creazione dei nuovi campioni che un domani calcheranno i terreni di gioco per emulare le sue imprese. Negli occhi e nel cuore dei tanti tifosi che lo hanno applaudito in questi anni, però, rimarrà sempre il ricordo di quel numero uno dal fisico imponente ma dal sorriso amichevole e dal carattere aperto e spontaneo che ha conquistato tutti, dentro e fuori dal campo, come solo i veri campioni di uno sport sanno fare.

martedì 11 dicembre 2012

IL VECCHIO E IL NUOVO RE DEL GOL

Immagine tratta da dailymail.co.uk
Gerd Muller e Lionel Messi, due calciatori che sono stati più volte ricordati e accostati da domenica sera, e non solo. Il primo deteneva fino a un paio di giorni fa il record di gol realizzati in un singolo anno solare, con 85 centri nell'ormai lontano 1972 tra club e nazionale; il secondo, a distanza di quarant'anni, è riuscito a migliorare questo score invidiabile arrivando a 86 reti, e con la possibilità di migliorarsi ulteriormente. Tanto vicini per questo incredibile exploit realizzati, altrettanto lontani per tantissime altre cose, dal tipo di calcio giocato al ruolo in campo, dalla nazionalità alle caratteristiche tecniche. In molti hanno azzardato confronti alquanto improbabili e fantasiosi, chiedendosi chi dei due abbia compiuto l'impresa più grande e perché. Noi non vogliamo gettarci in paragoni che sembrano fuori dal tempo e impossibili, preferiamo ricordare in breve chi sono i due protagonisti e quelle che sono state le loro imprese sul campo da calcio, al di là dei numeri e dei record.
Gerhard "Gerd" Muller, classe 1945, è bavarese di nascita e di credo calcistico. Esordisce con il Bayern Monaco nella serie B dell'epoca a diciannove anni, in una squadra con poche luci e tante ombre nel passato, ma con alcuni giovani molto interessanti come lui, Beckenbauer, Maier, Roth e Schwartzenbeck. Indossa la maglia del club bavarese per quindici stagioni, realizzando l'incredibile cifra di 398 gol in 453 partite, di cui 365 nella Bundesliga, record tuttora imbattuto e imbattibile (il secondo in classifica, Fisher, è a quota 268) e 69 nelle Coppe Europee, un altro primato che ha detenuto a lungo. E' lui uno degli artefici del periodo d'oro del club di Monaco, che domina in Germania prima e in Europa poi, conquistando quattro Scudetti, quattro Coppe nazionali, tre Coppe dei Campioni consecutive, una Coppa delle Coppe e un'Intercontinentale. Attaccante dal fisico in apparenza minuto, Muller ha un senso del gol incredibile, e le sue medie realizzative lo dimostrano. E' un centravanti vecchia maniera, partecipa pochissimo alla manovra della squadra, non pressa e raramente si sposta dall'area di rigore, ma gli basta un pallone per diventare letale. Pallone d'Oro nel 1970, con la Nazionale di Schon è protagonista del quadriennio d'oro 1970-74, in cui vince l'Europeo del '72 (l'anno del suo record di gol) e i Mondiali del 1974, oltre ad ottenere un terzo posto nel Mondiale del 1970, di cui è capocannoniere con dieci reti, due nella mitica partita persa 4-3 contro l'Italia. Con 68 gol in 62 partite, è il bomber principe della Nazionale tedesca, avvicinato solo di recente da Miroslav Klose, che però ha giocato il doppio delle partite rispetto a lui. Lasciato il Bayern nel 1979, ha giocato un paio di anni negli Stati Uniti, poi dopo il ritiro ha avuto un periodo difficile cadendo nella depressione e nell'alcolismo, da cui l'hanno salvato i vecchi compagni e dirigenti del Bayern; ripresosi, è da vent'anni allenatore delle giovanili della squadra bavarese. E' tuttora riconosciuto come uno degli attaccanti più prolifici e più forti di tutti i tempi.
Lionel Andres "Leo" Messi nasce in Argentina, a Rosario, nel 1987, ma a soli undici anni si trasferisce a Barcellona, in Spagna, per curare una grave disfunzione corporea che limita la sua crescita. Aggregato alle giovanili del club catalano, che gli paga le cure proprio perché intravede in lui grandi qualità, esordisce in prima squadra giovanissimo nel 2004, in un gruppo che vanta grandi campioni come Ronaldinho, Puyol, Cocu e i giovani Xavi e Iniesta, e che si appresta a diventare ancora più forte sotto la guida di Rijkaard. Dapprima riserva, poi titolare nell'attacco blaugrana, fatica un po' ad imporsi per continui problemi fisici, ma con l'arrivo in panchina di Guardiola diventa titolare inamovibile e punto di riferimento insostituibile. Cambia la posizione da esterno e seconda punta ad attaccante centrale, e le sue medie realizzative crescono in maniera incredibile. Ad oggi, ha realizzato 192 gol in 229 partite nella Liga con il Barça, record assoluto, e 56 in 74 partite di Champions League, quarto nella classifica di tutti i tempi. Il suo palmares è invidiabile: cinque Campionati, due Coppe di Spagna, cinque Supercoppe, tre Champions League, due Supercoppe Europee e due Mondiali per Club. Primo argentino della storia a vincere il Pallone d'Oro nel 2009, detiene il trofeo da tre anni consecutivamente, e se dovesse essere confermato ancora (cosa molto probabile), otterrebbe l'ennesimo record, abbandonando la compagnia di campioni come Cruijff, Platini e Van Basten. Erede secondo molti di Diego Armando Maradona, che ricorda moltissimo per le caratteristiche tecniche e per la genialità in campo, Messi ha un controllo di palla incredibile, e sa svariare su tutto il fronte d'attacco, unendo all'abilità sotto porta un'ottima visione di gioco e una perfetta intesa con i compagni di squadra. In Nazionale, a differenza del suo grande maestro, non è riuscito a lasciare il segno, ottenendo come unico successo l'oro olimpico del 2008; tra Mondiali e Coppe America, solo delusioni e sconfitte, con pochi lampi degni di nota. A venticinque anni, però, avrà ancora occasioni per mettersi in mostra e far grande la sua Argentina, così da avvicinare nel cuore dei suoi connazionali il grande e inimitabile Diego.
Alla luce di questo lungo confronto tra i due, chi è il migliore? Come potrete intuire da quanto è stato detto, non è possibile fare un vero paragone tra due calciatori tanto diversi nel ruolo, nella tecnica, della nazionalità, nel modo di giocare, nel periodo e nel tipo di calcio giocato. In comune hanno solo l'altezza, vicina al metro e settanta, e questo incredibile fiuto del gol, che li ha portati a scrivere e migliorare diversi record, e ad entrare definitivamente nella leggenda di questo sport. E se per Muller abbiamo solo filmati d'epoca, visto che ha smesso di giocare da tempo, Messi ha solo venticinque anni, e ha ancora davanti una lunga carriera, che sarà certamente ricca di gol, trofei e grandi giocate. Lasciamo da parte ogni paragone dunque, sediamoci comodamente in poltrona, e godiamoci lo spettacolo offerto da questi grandi campioni, che ci hanno fatto amare e continuano a farci amare il calcio.

lunedì 18 giugno 2012

SIENA DA LEGGENDA

Immagine tratta da lanazione.it

Vincere due campionati consecutivi costituisce già una grande impresa. Vincerne sei consecutivi ti consegna direttamente alla leggenda e all'immortalità sportiva. Con il successo di ieri sera su Milano, la Montepaschi Siena ha conquistato il suo sesto titolo consecutivo di Campione d'Italia, coronando un'altra stagione trionfale e riscrivendo i record del nostro campionato ed entrando di diritto nella storia del basket.
Un successo diverso dai precedenti, non scontato a inizio anno, arrivato dopo partite sempre molto sofferte e dopo una lunga lotta con la rivale degli ultimi anni, quell'Olimpia Milano che sta cercando di riprendersi un titolo che le manca ormai da 16 anni. La squadra senese ha conquistato il primo posto in regular season, come nei cinque campionati precedenti, ma con maggiore difficoltà, sia per il numero alto di infortuni che ha colpito la squadra sia per la forza delle avversarie, determinate a interrompere l'egemonia dei toscani. Nonostante le difficoltà, gli uomini di Pianigiani si sono aggrappati ai giocatori più talentuosi come McCalebb o ai più esperti come Stonerook, hanno puntato sui rientranti Andersen e Thornton (quest'ultimo al posto del fallimento Summers), e sono rimasti sempre fedeli al loro sistema di gioco. Hanno superato i periodi più duri, come l'eliminazione nei Quarti di Eurolega, l'unico titolo che continua a mancare alla squadra senese, e si sono presentati ai playoff ancora una volta come testa di serie numero 1, da favoriti per il titolo. 
Contro Varese prima e Sassari poi, Siena ha dato prova di essere tornata quella delle stagioni precedenti, che macinava senza problema tutti gli avversari, e nella sfida in finale con Milano ha dato un'ulteriore prova di forza, vincendo la serie in cinque partite e dando l'impressione che il titolo non le sarebbe mai sfuggito. E' stata l'ennesima dimostrazione del talento e dell'abilità di questo gruppo, che nonostante il passare degli anni continua ad avere sempre fame di nuove vittorie e di trofei. Con quello di ieri, i senesi sono arrivati all'incredibile cifra di 59 successi e sole 6 sconfitte nei playoff, con 36 vittorie consecutive in casa (17 su 17 in occasione delle Finali). Sono numeri che danno un'idea della forza di questa squadra, che oltre agli Scudetti si è anche aggiudicata 4 Coppe Italia e 3 Supercoppe Italiane, dominando in modo imbarazzante il panorama cestistico italiano.
Un ciclo davvero incredibile insomma, quello di Siena, che però adesso si trova davanti a un'importante serie di scelte per stabilire quale sarà il futuro di questa squadra. Quella di ieri è stata probabilmente l'ultima partita in maglia biancoverde per Shaun Stonerook, l'unico insieme a Marco Carraretto a vincere tutti e sei questi campionati consecutivi. Il capitano, dopo l'ennesima gara fantastica per intensità difensiva e intelligenza offensiva, non ha nascosto il proposito di lasciare il basket, a quasi 35 anni, e la sua sarebbe una perdita non da poco all'interno degli schemi e dell'identità di gioco dei toscani. Inoltre, il probabile ridimensionamento del budget potrebbe significare l'addio ad altre pedine importanti della squadra, su tutti il playmaker Bo McCalebb, il miglior giocatore del campionato e di queste finali. Anche il futuro del tecnico Simone Pianigiani, l'artefice insieme al presidente e general manager Ferdinando Minucci dei successi della squadra, è avvolto dal mistero. A ciò si aggiungono l'età non più verde di molti protagonisti di questi anni vittoriosi, da Kaukenas a Lavrinovic, da Ress a Carraretto, da Thornton ad Andersen e Zizis.
Comunque vadano le cose, per progettare il futuro ci sarà comunque tempo, perché l'estate è appena all'inizio e la società ha già dimostrato in più occasioni di saper sostituire degnamente i suoi pezzi pregiati con giocatori altrettanto validi. Per adesso, squadra e città si godono l'ennesimo trionfo e celebrano meritatamente quello che è ormai diventato un gruppo leggendario, destinato a rimanere per sempre nella storia del basket italiano.

lunedì 11 giugno 2012

Le 'siete' meraviglie di Re Rafael


foto tratta da adnkronos.com

5 Giugno 2005
Il giovane Nadal partecipa per la prima volta al Roland Garros. Inizia il suo momento magico sulla terra rossa. In semifinale, batte Roger Federer nel giorno del suo compleanno. E due giorni dopo batte in finale Mariano Puerta con il punteggio di 6-7, 6-3, 6-1, 7-5, diventando il secondo tennista a vincere uno Slam alla prima partecipazione.

11 Giugno 2006
Lo spagnolo si ripete l’anno dopo battendo in finale il suo rivale numero 1, Federer.
Nadal diventa il primo giocatore a sconfiggere il campione svizzero in una finale del grande slam. È l’anno di un altro record, quello delle vittorie consecutive, 54, sulla terra rossa, battuto al primo turno del torneo.

10 Giugno 2007
Terzo anno al Roland Garros, altra finale, altro confronto con lo svizzero Roger Federer.  Altra vittoria, unico tennista a riuscirci nell’era Open dopo Borg. Punteggio finale 6-3, 4-6, 6-3, 6-4. Unico set perso del torneo proprio in finale.

8 Giugno 2008
Quarta vittoria consecutiva, la prima senza perdere un set. Batte in finale il solito Federer in un match praticamente a senso unico. 6-1, 6-3, 6-0. Era dal 1999 che lo svizzero non perdeva un set 6-0.
Con questa vittoria Nadal diventa il quarto giocatore a vincere uno Slam per quattro volte consecutivamente.

6 Giugno 2010
Dopo la cocente sconfitta del 2009, si vendica dello svedese Soderling, unico ad averlo battuto sulla terra parigina, con un netto 6-4, 6-2, 6-4. Quinto titolo conquistato e per la seconda volta senza perdere neppure un set. Ritorna numero uno della classifica mondiale e diventa il primo giocatore della storia a realizzare lo “Slam Rosso”, avendo vinto nello stesso anno tutti i maggiori tornei sulla terra battuta ( Montecarlo, Roma, Madrid,Roland Garros)

5 Giugno 2011
Altra edizione alla quale partecipa ed altra finale. Avversario ancora lo svizzero Federer, lo batte in quattro set 7-5, 7-6, 5-7, 6-1. Edizione nella quale arriva per la prima volta al quinto set in un incontro, il primo contro l’americano Isner. Le vittorie a Parigi sono 6. Eguagliato il record di Bjorn Borg.

11 Giugno 2012
Finale al lunedì, causa maltempo. Cambia il finalista. Il suo nuovo rivale è Djokovic. Si affrontano per la quarta volta consecutiva in una finale del Grande Slam. Per ora 3 a 0 per il serbo. Nadal arriva ai quarti di finale perdendo solo 19 game. In semifinale ne regala solo altri 5 allo spagnolo Ferrer.
In finale vince 6-4, 6-3, 2-6, 7-5, perdendo l’unico set del torneo, supera il record di Borg e anche già suo di 6 vittore e pareggia Chris Evert, con 7 centri nella capitale francese.

Ps: ha solo 26 anni.

domenica 22 aprile 2012

Il Re del Principato


L’ottava meraviglia. Rafael Nadal entra definitivamente nella storia del Tennis mondiale vincendo per l’ottavo anno consecutivo il torneo sulla terra rossa del Principato di Montecarlo. Mai nessuno è riuscito in un’impresa simile. Fino a poche ore fa condivideva con Richard Sears, padrone degli Us Open tra il 1881 e il 1887, il primato di sette edizioni dello stesso torneo vinte consecutivamente. Dopo il Roland Garros del 2011 torna a vincere un torneo e lo fa sulla superficie preferita, la sua terra rossa. Per lui anche il titolo numero 20 in un Master  in soli 8 anni di carriera da professionista, superando il record di Federer fermo a 19.
Un torneo, quello di Montecarlo, vinto senza perdere nemmeno un set  e arrivando solo una volta al tie break, nell’incontro dei quarti contro lo svizzero Wawrinka
Batte in poco più di un’ora di gioco Djokovic e con lui anche la sindrome nei confronti serbo, che lo aveva sconfitto nelle ultime sette finali. Partita senza storia che prende la direzione di casa Nadal fin dalle prime battute. L’85% di punti con la prima di servizio, il 60% di punti fatti in risposta e la trasformazione di 5 delle 8 palle break avute durante la gara testimoniano l’eccelsa forma psico-fisica con la quale lo spagnolo si è presentato all’appuntamento. Troppa la voglia di rivincita sul serbo, troppa la voglia di tornare a vincere, troppa la voglia di battere un altro record, l’ennesimo per il 25enne di Manacor.
Dall’altra parte un Djokovic un po’ sottotono, spento più del solito, causa probabilmente anche fattori extra sportivi (perdita del nonno pochi giorni fa). Il serbo però,  è sembrato meno lucido già nelle prime sfide del torneo e la terra rossa di Montecarlo, molto più lenta rispetto alle altre, non gli hanno lasciato scampo.
Paradossalmente, da domani, in classifica Djokovic allungherà sullo spagnolo in virtù della sua non partecipazione in terra monegasca lo scorso anno. Il computer ha il suo sistema, si può criticare ma è da rispettare. Il dualismo tra i due che caratterizzerà il 2012 della racchetta è solo all’inizio, Federer permettendo.  Per ora 1 a 1. Avanti con il prossimo torneo e la prossima finale.