giovedì 12 dicembre 2013

QUESTIONE DI...DNA

Immagine tratta da mirror.co.uk
L'avventura in Champions League della Juventus in questo 2013-14 è già finita. L'anno che era stato indicato da molti come quello giusto in cui puntare alla Coppa dalle grandi orecchie si è rivelato molto meno felice di quello passato, dove complice un sorteggio favorevole si era arrivati tra le prime otto d'Europa. Stavolta invece la corsa al trono continentale si è interrotta al primo step, impantanata nel campo innevato e fangoso di Istambul, che tanto ha fatto e farà discutere, in un freddo pomeriggio di dicembre.
Un'eliminazione dura da digerire, una retrocessione in Europa League che di certo fa rabbia a tanti, dai giocatori alla dirigenza fino ovviamente all'allenatore, ma che deve far riflettere tutto l'ambiente su una cosa: la Juve non è una squadra da Champions, non lo era quando metteva in mostra campioni del calibro di Zoff, Platini, Boniek, Scirea e Paolo Rossi, figurarsi adesso che le grandi stelle del calcio mondiale giocano in altri campionati. Si è spesso detto che il club torinese, abituato a primeggiare e a recitare la parte del leone in Italia, fatichi troppo e troppo stesso a trovare la sua dimensione nel panorama europeo. Mai come ieri questa frase, per molti falsa e priva di fondamento, è sembrata vera, alla luce poi della contemporanea qualificazione del Milan, che paga ben 22 punti di ritardo dalla Veccha Signora in serie A e sta attraversando una complessa fase di transizione, una delle più difficili nella sua recente storia. Entrambe le squadre si trovavano in una situazione simile: due risultati su tre a favore, un punto in casa e una sconfitta onorevole in trasferta contro l'avversaria più ostica del girone (Real per i piemontesi, Barça per i rossoneri), e altre rivali temibili ma sulla carta inferiori e battibili. 
Certo, si può dire che il Milan aveva il vantaggio di giocare in casa, con un campo in ottime condizioni, e contro un gruppo talentuoso ma ancora giovane e "acerbo" per questa competizione, ma non sembrano differenze così rilevanti, soprattutto con i milanesi costretti a giocare in dieci quasi tutta la gara. Inoltre, la squadra di Allegri la qualificazione se l'era guadagnata prima, indovinando l'approccio alle gare sulla carta più "facili" del girone, portando a casa 6 punti su 6 contro il Celtic, una dote che insieme al pari conquistato all'ultimo minuto in Olanda contro l'Ajax all'andata ha dato più confidenza e fiducia al gruppo. La Juventus, invece, ha giocato da squadra di alto livello solo le sfide contro il Real Madrid, mentre ha steccato in tutte le altre sfide: 1 punto su 6 contro i turchi, con un pareggio casalingo subito un minuto dopo essere passati in vantaggio, e 4 su 6 contro il modesto Copenaghen, assediato senza lucidità in Danimarca e battuto più con cinismo ed episodi che con il gioco in casa. A conti fatti, chi può maggiormente e giustamente recriminare per una qualificazione che sarebbe stata ampiamente meritata è il Napoli, terzo con 12 punti in un girone estremamente duro, condannato dalla differenza reti ma uscito dal torneo a testa altissima, a differenza proprio dei bianconeri. A raccontarci di una coppa indigesta alla Signora torinese sono anche i numeri: su 28 partecipazioni, in ben 13 occasioni la Juve è stata eliminata tra primo e secondo turno, vale a dire circa la metà dei casi, si trattasse di gironi o di scontri andata e ritorno, vincendo il trofeo solo 2 volte (con 5 finali perse, record condiviso con il Benfica). Tanto per dare un'idea, il Milan ha disputato lo stesso numero di volte la coppa, con solo 10 eliminazioni nei primi due turni e ben 7 vittorie su 11 finali disputate, e l'Inter in 17 partecipazioni ha 12 piazzamenti dai Quarti di finale in su e 3 successi su 5 finali giocate.
Al di là dei numeri, sono i risultati e l'atteggiamento mostrato in campo che lasciano perplessi da sempre i tifosi bianconeri, scoraggiati e a tratti sconcertati dalla clamorosa involuzione mostrata tra una partita di campionato e quella successiva in Coppa. La Juve sembra quasi svuotarsi, perdere sicurezza e concentrazione, bloccarsi davanti alla paura di rimediare una brutta figura in Europa, incapace di risolvere e chiudere con tranquillità sfide sulla carta facili. Al di là di tecnici, dirigenti e giocatori, la vera mancanza della squadra sembra proprio caratteriale, storica, verrebbe quasi da dire che i bianconeri non hanno nel DNA la "fame" giusta per imporsi nel palcoscenico internazionale, e in particolare in quella che è la Coppa più desiderata e voluta da tutti a livello di club. La stagione 2014 non è di certo finita con la sconfitta di ieri, il campionato è ancora lunghissimo e ad anno nuovo inizieranno anche la Coppa Italia e l'Europa League, con la finale che si disputerà proprio a Torino. Un'ottima occasione insomma per restare competitivi e magari vincere un trofeo in Europa, impresa che non riesce ai bianconeri dal 1996, anno della Champions conquistata sotto la guida di Marcello Lippi. Con una coppa in più in bacheca, magari, si riuscirà a programmare meglio il mercato e il prossimo futuro, con l'ennesimo assalto da portare al trono d'Europa, in cerca di quel DNA da vincenti che continua a mancare alla Veccha Signora nei momenti decisivi.


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