domenica 17 febbraio 2013

MJ, I 50 ANNI DEL RE DEL PARQUET

Immagine tratta da mentalwod.com
Ci sono giocatori che sono universalmente riconosciuti in tutto il mondo come uomini-simbolo dello sport che hanno praticato per anni. Atleti straordinari, campioni con la mentalità vincente, personaggi dentro e fuori dal campo. Quando si pensa al basket, tutti gli appassionati pensano immediatamente ad un solo nome: Michael Jordan. Una stella assoluta, inarrivabile, un giocatore dal talento immenso e dalla forza di volontà ancora più grande, un campione che non ha mai smesso di migliorarsi per rimanere il più forte. E anche per questo, oltre che per tutto quello che ha fatto vedere sui parquet americani e mondiale, è unanimemente riconosciuto come  il più forte giocatore di basket di tutti i tempi. Oggi questo fuoriclasse taglia il prestigioso traguardo dei 50 anni di vita, ed è più che doveroso dedicare a lui questo articolo.
A differenza di molti campioni dello sport, Michael non è un predestinato, si vede che ha buone doti fisiche e atletiche, ma nessuno ha ancora capito che cosa può diventare. A quindici anni, quando si presenta alla Laney High School, il liceo della sua città, per entrare nella squadra di basket, l'allenatore gli preferisce un altro ragazzo perché lo vede troppo magro e basso per questo sport. Qualche anno dopo, nel draft Nba del 1984, Jordan non è la prima scelta assoluta, prima di lui vengono selezionati i centri Hakeem Olajuwon, che diventerà una stella, e Sam Bowie, atleta promettente ma penalizzato dagli infortuni. Con il tempo, però, tutti cominciano a rendersi conto di chi hanno davanti, e di quanto questo giocatore possa fare non solo per il basket americano, ma per quello mondiale. I Chicago Bulls, la squadra che decide di sceglierlo, passano da una delle formazioni più scarse d'America a una delle più promettenti nel giro di pochi anni, costruendo lentamente la squadra intorno ad MJ e lasciando che cresca insieme a lui. Jordan non è solo un atleta fantastico, è un leader in campo e fuori, ha una durezza mentale incredibile, non pensa che a migliorarsi e a vincere, e in questo motiva tutti i suoi compagni e comincia a far sperare una città che non è mai stata grande.
Arrivano i primi spot televisivi, Michael diventa presto una star in tutto il pianeta non solo per le sue imprese sportive, in campo segna più punti di tutti per diverse stagioni e delizia i tifosi nelle gare delle schiacciate. Mancano ancora i successi, perché la squadra non è ancora pronta, e gli avversari di turno, i durissimi Detroit Pistons di Isiah Thomas, sono troppo forti e motivati per lasciarsi sconfiggere. Decisiva è l'estate del 1989, quando la dirigenza di Chicago sceglie come allenatore Phil Jackson e decide di non rivoluzionare la squadra, confidando in una sua crescita con il nuovo coach. Con la sua nuova guida, Jordan e i Bulls perfezionano ulteriormente il gioco, e finalmente arrivano le vittorie, tre di fila, dal 1991 al 1993, contro fenomeni come Magic Johnson, Clyde Drexler e Charles Barkley. Michael è già su un altro livello rispetto ai grandi del passato, molti già lo vedono come il più forte di sempre, ma intanto in lui qualcosa cambia, l'amore per il basket sembra scemare. La morte del suo amatissimo padre, ucciso in una rapina per una macchina che lui stesso gli aveva regalato, lo segna ulteriormente, e lo spinge ad annunciare il ritiro dal mondo del basket, a poco più di trent'anni.
Torna a un'altra sua grande passione dell'infanzia, il baseball, gioca in alcune squadre minori di Chicago con risultati modesti, e senza di lui Chicago affonda e l'Nba si sente come privata di una delle sue stelle più luminose. Dopo un anno e mezzo, Jordan sente tornare le motivazioni, e in una conferenza stampa fa esultare i tifosi di tutto il mondo con tre sole parole: I'm back, sono tornato! Dopo un anno di rodaggio e un'estate di intensi allenamenti, Michael trascina i Bulls ad un nuovo successo e ad un incredibile record di 72 vittorie e 10 sconfitte in stagione regolare, risultato mai ottenuto prima nella storia della Nba. Arriveranno altri due titoli consecutivi, in finali durissime contro gli Utah Jazz di John Stockton e Karl Malone, poi il secondo ritiro di MJ, quello che sembra definitivo questa volta, visti i trentacinque anni e gli incredibili risultati ottenuti. Si dedica al golf, altra sua passione, e alla gestione dei Washington Wizards, ma nel 2001 decide di dare un ulteriore aiuto alla sua nuova squadra tornando clamorosamente a giocare. Lo fa per due anni, senza ambizioni di successo, senza bisogno di dimostrare nulla a nessuno, solo per amore del basket. La squadra non fa miracoli, lui continua a far vedere che la classe non si annacqua nemmeno con gli anni, ma ormai il suo tempo è finito. Nel 2003 si ritira per la terza e ultima volta, con la media punti più alta nella storia della Nba in stagione regolare e playoff e al terzo posto della classifica marcatori di tutti i tempi.
Campione universitario nel suo anno da matricola nel 1982, sei volte campione Nba e in tutte le occasioni Miglior Giocatore delle finali, cinque volte Miglior Giocatore della stagione, dieci volte miglior marcatore del campionato, quattordici partecipazioni all'All Star Game e tre titoli di Miglior Giocatore, due ori olimpici, il primo nel 1984 quando era ancora un universitario, il secondo da stella assoluta con il leggendario Dream Team nel 1992. I titoli non bastano a spiegare che cosa è stato MJ per il basket di tutto il mondo, non bastano a far capire la grandezza di questo personaggio, quanto il suo modo di interpretare il gioco abbia cambiato il basket, portandolo ad un ulteriore livello che mai si era visto prima. Tantissimi sono i momenti memorabili che ha regalato ai tifosi di tutto il mondo, come il Tiro (con la T maiuscola) con cui vinse il suo ultimo titolo Nba nel 1998, a pochi secondi dalla fine, o le schiacciate partendo direttamente dalla linea del tiro libero, come se stesse volando nell'aria. Magic Johnson lo dichiara il più forte di sempre dopo essere stato suo compagno nelle Olimpiadi del 1992, Larry Bird ricorda sempre una gara di playoff del 1986 in cui segnò 63 punti contro di lui, dicendo che quella sera in campo c'era Dio travestito da Michael Jordan. Ha giocato e vinto contro tutti i più forti atleti della sua generazione, in quegli incredibili anni '90 che hanno visto stelle assolute della pallacanestro calcare i campi della Nba e cercare vanamente di contrastarlo.
Tutti i grandi campioni della pallacanestro di oggi, da Kobe Bryant a Lebron James, continuano a pensare a Jordan come al mito da raggiungere, alla vetta da scalare per essere ricordati come i più forti di sempre. Anche loro, come lui e come tutti quelli che lo hanno preceduto, contribuiscono con il loro talento e le loro capacità a rinnovare il basket e a farlo evolvere sempre di più. Ma difficilmente loro o qualcuno che verrà dopo di loro riuscirà a superare la fama di quel numero 23 in maglia rossa e nera, con le scarpette personalizzate dal marchio Aìr, che schiacciava sulla testa di avversari più alti di lui con la lingua di fuori. 
Buon compleanno MJ, e grazie di tutto!

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