venerdì 22 giugno 2012

KING JAMES, FINALMENTE!

Immagine tratta da latinospost.com

Se vieni indicato come un grande, un fenomeno, un campionissimo da quando hai solo 17 anni, è normale che vincere sia l'unica cosa che tutti si aspettano da te. Se poi hai l'occasione di farlo ma fallisci, è altrettanto normale che molti comincino a criticarti e a dubitare delle tue reali capacità. Lebron James, in questi nove anni di carriera nella NBA, ha vissuto tutto questo e molto di più, perché quella che si è scatenata contro di lui è stata una vera e propria guerra mediatica, con gruppi di "haters" (coloro che odiano una determinata persona e cercano di sminuire ogni sua impresa) pronti a puntare il dito su ogni suo errore, su ogni sconfitta e su ogni fallimento. Da questa notte, però, anche lui finalmente può festeggiare con merito quel titolo che ha a lungo atteso, ed entrare finalmente a testa alta nell'Olimpo del basket americano.
Con la vittoria di questa notte in gara 5 contro gli Oklahoma City Thunder, Lebron e i suoi Miami Heat si sono laureati campioni NBA con pieno merito, concludendo alla grande una stagione giocata su alti livelli e che li ha portati forse alla definitiva maturazione, a fare quel passo che porta un gruppo di ottimi giocatori a diventare una squadra. E James ha finalmente colmato il gap che lo separava dal diventare un leader e un vincente, cancellando in un colpo solo le critiche che gli sono piovute addosso in tutti questi anni. Dopo la sua scelta di lasciare Cleveland per passare agli Heat, e la successiva sconfitta (con prestazioni deludenti) nelle Finali NBA dello scorso anno, tutti lo etichettavano come un perdente, come un finto campione, che aveva bisogno di un vero fenomeno come Wade per vincere finalmente qualcosa. Quest'anno Lebron ha fatto vedere di essere diverso, molto più maturo e consapevole della sua forza, e soprattutto ha fatto capire a tutti che il vero leader della squadra è diventato lui. Dopo un'ottima stagione regolare, condita dal terzo titolo di MVP, nei playoff James è salito gradualmente di livello e qualità, prendendosi più volte la squadra sulle spalle nei momenti di difficoltà. Contro Indiana e Boston ha fatto la differenza, sopperendo all'assenza di Bosh infortunato e alle prestazioni troppo altalenanti di Wade, e i 45 punti segnati in gara 6 a Boston, con l'eliminazione che sembrava già scritta, sono la dimostrazione più grande della sua forza.
Nelle finali contro Oklahoma, dopo una prima gara giocata bene ma in cui è un po' mancato nel finale di partita, le critiche sono nuovamente piovute sulla sua testa. Lui però stavolta ha risposto in modo diverso, con prestazioni sempre più concrete, coinvolgendo molto di più i compagni in attacco, dannandosi l'anima in difesa, e prendendosi le sue responsabilità nei momenti decisivi delle partite. Ha vinto da assoluto protagonista, non da semplice comprimario di Wade come malignavano in tanti. Stanotte ha chiuso la gara con 26 punti, 11 rimbalzi e 13 assist a referto, in media ha viaggiato ad oltre 28 punti segnati in queste finali, e si è conquistato con merito il titolo di MVP, insieme con il tanto atteso anello. Una rivincita meritata, per lui e per tutti gli Heat, etichettati come una squadra composta solo da 3 presunti campioni, e dal coach Eric Spoelstra, considerato succube delle sue stelle e incapace di leggere le partite. Rispetto all'anno scorso, l'allenatore ha dimostrato di aver imparato la lezione, ha saputo gestire meglio il gruppo e cambiare le rotazioni quando serviva, e ha ribaltato con merito la situazione che vedeva la sua squadra come sfavorita. Inoltre, i comprimari hanno fatto davvero la differenza, fornendo il giusto supporto alle stelle con giocate importanti, e in ogni partita c'è stato un protagonista diverso: nelle prime sfide Battier ha brillato, poi è toccato a Chalmers in gara 4, infine nella sfida per il titolo è stato decisivo Miller, con 7 triple a segno su 8 nonostante una schiena malandata.
Ora, tutti aspettano con ansia le prossime stagioni per vedere se questo successo sbloccherà definitivamente Lebron James e lo porterà a diventare uno dei più grandi campioni di sempre nella NBA. Michael Jordan, suo illustre predecessore, attese 7 stagioni prima di ottenere il suo primo titolo nel 1991, a 28 anni, e da allora ne conquistò altri 5 tra il 1992 e il 1998, con un anno di pausa per il ritiro e un secondo in cui rientrò a campionato in corso; soprattutto, MJ fece vedere il meglio della sua pallacanestro proprio dopo quel successo, costruendo insieme ai suoi Bulls una squadra che è entrata ormai nella leggenda. Lebron ha 27 anni, è arrivato alla sua piena maturazione cestistica, e può ancora regalare molto agli amanti del basket e della NBA, per cui non resta che attendere il prossimo anno per vedere se King James, dopo aver conquistato finalmente il suo trono, saprà gettare le basi per una lunga e solida dinastia.

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