mercoledì 16 maggio 2012

Juventus, gioventù e tradizione


Immagine tratta da: inpho.ie


La storia del campionato della Juventus sembra essere stata scritta da uno sceneggiatore amante del lieto fine o, per certi aspetti, addirittura dai fratelli Grimm. In effetti, quest’anno i tifosi bianconeri hanno vissuto una vera e propria favola che permette loro di andare sui social network e in giro per i bar a prendersi parecchie rivincite nei confronti dei loro amici-rivali antijuventini. Ce li immaginiamo, tronfi e gagliardi come non li si vedeva da anni, a deridere il barista milanista che parla del goal di Muntari mentre con le mani nascoste dietro il bancone pubblicano dal loro smartphone link con le tre stelle sulla bacheca di Guido Rossi. Come dargli torto, come non comprendere una tale esaltazione: tornare a vincere dopo anni di sofferenze e umiliazioni mai provate, di vittorie altrui; tornare a vincere quando nessuno se l’aspettava, contro i rivali di sempre, dopo una lunga corsa col brivido finale; tornare a vincere con il vecchio capitano che fa l’allenatore, un presidente che di cognome fa Agnelli, nell’anno del nuovo stadio e, come se non bastasse, tornare a vincere con la griffe di capitan Del Piero che fa un gol decisivo contro la Lazio e un altro alla partita d’addio. Insomma, poche volte l’orgoglio juventino ha raggiunto picchi così elevati.
Questa vittoria così dolce non è frutto del caso ma di un lavoro meticoloso, quasi perfetto. Dopo anni di scelte sbagliate la Juventus è riuscita a ritrovare l’identità che aveva smarrito ripartendo, semplicemente, dal suo nome: Juventus, la vecchia signora. Ovvero, gioventù ed esperienza, innovazione e tradizione. Concetti solo apparentemente contrastanti perché tutto nella Juventus di quest’anno è stato una perfetta simbiosi tra vecchio e nuovo, uniti in una perfetta complementarità; basti pensare  che nell’ultima partita di campionato ha segnato prima il “canterano” Marrone e poi capitan Del Piero.
Il presidente e la dirigenza hanno capito che c’era bisogno di ripartire da idee all’avanguardia, da una freschezza innovatrice che portasse un nuovo entusiasmo, capace di togliere le ragnatele in un ambiente caduto da anni in una angosciante decadenza. Ed ecco finalmente lo Juventus Stadium, un simbolo di modernità e rinnovamento; giocatori giovani e “affamati”; un calcio piacevole, veloce, spettacolare che in Italia si è visto raramente (e ancor più raramente è stato anche vincente).
Allo stesso tempo, però, si è cercato di mettere al centro del nuovo progetto la storia della Juve, la sua tradizione e di ritrovare la sua atavica voglia di vincere. In effetti, il nuovo stadio è pieno di richiami orgogliosi alla storia bianconera; ai giocatori più giovani sono stati affiancati anziani che quella storia in parte l’hanno fatta e quello spirito vincente ce l’hanno ormai nel sangue; e quella squadra brillante e propositiva, non dimentichiamolo, è stata anche quella che ha subìto meno goal di tutti, riuscendo a coniugare il bel calcio con quella che è per tradizione l’arma più efficace del calcio italiano: la meticolosa preparazione della fase difensiva.
Oltre al quarantenne Andrea Agnelli, presidente da soli due anni ma il cui cognome garantisce una certa continuità col passato, colui che è la vera e propria personificazione di questa juventinità dalle due anime è Antonio Conte. Un allenatore giovane, moderno, che crede nella sperimentazione, nell’imprevedibilità, nell’innovazione continua e che per praticare la sua idea di calcio ha bisogno di tanta energia e entusiasmo di gioventù. Ma Antonio Conte è anche una persona che ha nel DNA quell’antico spirito vincente, quella voglia irrefrenabile di essere il più forte, che permetteva alla Juve di vincere contro i pronostici, contro le squadre piene di campioni. Come il bacio di una principessa trasformava i ranocchi in principi, così quella maglia bianca e nera trasformava i Porrini, i Torricelli, i Ravanelli, i Tacchinardi e tanti altri da giocatori normali in vincenti spietati. Conte ha ripetuto questa magia creando una squadra che, più che la Juve-corazzata di Capello ricorda la Juve delle grandi imprese, quella del cross di Birindelli per Zalayeta al Camp Nou che –secondo l’umile parere di chi scrive- ricorda tanto il cross di Pepe per l’ uno a uno (o due a due) di Matri a San Siro.





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